Il tweet oracolare di Saviano dal giardino per divinità televisive scadute

Marianna Rizzini

In principio fu il tweet: “Ecco, ci siamo. Stasera torno in televisione, cercando di portare in tv la parola in tutte le sue declinazioni possibili”. In principio fu Roberto Saviano che pareva farsi logos in rete – “declinare parole”, tutta roba in verità lontana dal parlare come mangi e dal dire cose normali e persino dal prendersi molto sul serio alla maniera di Gianrico Carofiglio, il giudice-scrittore preso da ira funesta contro Vittorio Ostuni che lo stronca.

    Roma. In principio fu il tweet: “Ecco, ci siamo. Stasera torno in televisione, cercando di portare in tv la parola in tutte le sue declinazioni possibili”. In principio fu Roberto Saviano che pareva farsi logos in rete – “declinare parole”, tutta roba in verità lontana dal parlare come mangi e dal dire cose normali e persino dal prendersi molto sul serio alla maniera di Gianrico Carofiglio, il giudice-scrittore preso da ira funesta contro Vittorio Ostuni che lo stronca. Ma era pur sempre il primo ottobre, e Saviano sembrava voler distillare via Web il verbo para-divino dei tazebao newyorchesi che un anno fa, come raccontava a Vanity Fair, gli avevano permesso di “rivedere il cielo”, e che quest’anno sempre su Twitter ha omaggiato: “Occupy Wall Street non costruirà forse un nuovo mondo, ma cerca soluzioni a problemi comuni”. Le parole sono importanti, diceva il Nanni Moretti di “Palombella rossa”, ma magari non così importanti da meritare tutte le savianesche “declinazioni possibili” (autoironia esclusa?), tanto più che il primo ottobre si era alla vigilia del “Che tempo che fa del lunedì” in cui Fabio Fazio avrebbe pubblicamente detto che sì, la ferita era “sanata”, Saviano tornava in Rai (con tanti saluti a La7, “non propriamente un esilio”, ha fatto notare ieri il critico del Corriere della Sera Aldo Grasso, alludendo alla stagione appena passata, con Fazio & Saviano su La7 a “Quello che non ho”).

    Eppure, dopo aver letto il tweet impossibile sulle “declinazioni possibili”, e dopo aver guardato Saviano in tv, c’è chi si è messo a guardare pure gli ascolti di Saviano, e a confrontare il 10 per cento di share su RaiTre con il 12,66 del maggio scorso su La7, e Aldo Grasso ha addirittura scritto che la cosa più interessante del programma del “Fazio officiante” era “il vero prete” Camillo Ruini, che tutto pareva in fase di “rodaggio”, che Alessandro Baricco e Marco Paolini sarebbero risultati più “ammalianti” di Saviano nel raccontare la storia di Michel Petrucciani, grande pianista jazz affetto dalla sindrome delle ossa di cristallo, e che “quando non parla della sua materia Saviano è meno efficace del solito”. E insomma davanti al Saviano oracolare, fisso nell’espressione grave dei tempi grami, riserva della Repubblica e capostipite degli appelli su Repubblica, si apre la visione del giardinetto da divinità caduta: critiche al comune mortale che cominciano a fare capolino, qualche sbadiglio dallo spettatore che si chiede se per caso non fossero meglio i pur colpevolizzanti elenchi di parole scomunicate da Fazio a “Quello che (non) ho” (tra le altre: “Futon”, “apericena”, “attimino”, “partenza intelligente”).

    Saviano, su Twitter, comunque si consola – share “alto” per aver parlato “di disabilità in prima serata”, scrive. Nel mezzo c’è Carlo Freccero, convinto che anche solo a parlare di “cadute” si esalti Saviano oltre ogni limite, come fosse cosa “da far tremare le mura”, mentre il “Che tempo che fa del lunedì” “non era neanche un programma-evento”, e “neanche un programma suo”, e lui era “quasi un ospite”. “E comunque”, dice Freccero, “dal punto di vista industriale, per RaiTre, il programma è efficacissimo e il 10 per cento di lunedì una vera manna”. E sì, ci sono dei difetti nel passaggio tra “talk-show seduti a show in piedi”, ma “Saviano, casomai, bisogna aspettarlo al varco del nuovo libro”.

    • Marianna Rizzini
    • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.