
L'estetica di Renzi / 1
"Potete dipingermi come un’Ambra Angiolini quanto vi pare”. Già Renzi stava simpatico, dopo la frase della svolta lo è ancora di più. Miracolo: un politico che tira in ballo la tv senza aggiungere che rovina i bambini, gli antropologicamente svantaggiati, il livello culturale della nazione. Ambra Angiolini in “Non è la Rai” ascoltava nell’auricolare Gianni Boncompagni. Provate voi a stare davanti a una telecamera, e a non sembrare una cretina quando ripetete parole altrui.
"Potete dipingermi come un’Ambra Angiolini quanto vi pare”. Già Renzi stava simpatico, dopo la frase della svolta lo è ancora di più. Miracolo: un politico che tira in ballo la tv senza aggiungere che rovina i bambini, gli antropologicamente svantaggiati, il livello culturale della nazione. Ambra Angiolini in “Non è la Rai” ascoltava nell’auricolare Gianni Boncompagni. Provate voi a stare davanti a una telecamera, e a non sembrare una cretina quando ripetete parole altrui (tanti, e più adulti, sembrano cretini ripetendo le proprie, di parole, non facciamo i nomi che in giro c’è sempre un carofiglio pronto a querelare). Per chi in questi anni ha fatto tardi la sera leggendo il compagno Gramsci: nel frattempo Ambra è cresciuta, fa l’attrice, ha presentato la Mostra di Venezia con meno impacci di Margherita Buy (battuta iniziale, scritta da lei medesima: “Che cosa ho fatto per meritarmi questo?”; le malelingue dicono che l’allora direttore Marco Müller tagliò il resto del discorso).
Il problema di Matteo Renzi sarebbero i troppi messaggini scambiati con Giorgio Gori, che in questa storia fa funzione di Gianni Boncompagni. Ma a Zoro, cronista d’assalto tanto d’assalto che era ospite sul camper all’ora del panino, non piacerebbe comunque. Sarà lo stesso Zoro che faceva bene il comico? Se è lui, ha conquistato il record mondiale di velocità “da giullare a maître à penser” battendo i lumaconi Sabina Guzzanti, Beppe Grillo, Serena Dandini, Fabio Fazio e compagnia. Intanto Luca Telese, con un colore di capelli marroncino che – sul nostro televisore almeno – gareggiava con gli esperimenti tricologici di Michele Santoro e Alessandro Baricco, tacciava Matteo Renzi di arroganza. Per una battuta, santiddio, che ha introdotto un po’ di pop nel dibattito politico. E siccome di pop viviamo, fa ben sperare per il futuro. I tecnici, quando servono, uno se li affitta. Non è che quando vogliamo costruire una casa nuova ci improvvisiamo architetti, idraulici e piastrellisti. Prendiamo il telefono e paghiamo chi lo fa di mestiere.
Nel mondo alla rovescia che è l’Italia (dove si piangono calde lacrime per i milioni di giovani che non lavorano, senza mai girare la frittata e pensare che se possono permettersi di non guadagnare qualcuno li nutre, li alloggia, gli paga la bolletta del cellulare e le sneaker più costose di scarpini cuciti a mano) l’accusa è infamante. “Ricerca di consenso”, dicono. Come se uno che intende vincere le elezioni potesse farlo senza il consenso degli elettori. Mica siamo nelle “Cinquanta sfumature di grigio”, dove lui arriva con il frustino, e lei considera la chiappa dolorante una suprema prova d’amore.
Ce ne fosse di gente che cerca il consenso, nella romanzistica come nella ristorazione, cercando di compiacerci per avere i nostri soldi e la nostra attenzione, invece di infliggerci romanzi illeggibili e cibi immangiabili, perché i poveretti devono esprimere il loro talento. La sincerità è sopravvalutata, in queste come in tutte le altre faccende della vita. “Abbia la compiacenza di parlarmi con dolcezza”, diceva Ennio Flaiano negli anni Sessanta. “Abbia la compiacenza di volermi sedurre” è la versione 2.0, meno foriera di fregnacce dell’ode alla sincerità e al dialogo che da decenni tormenta le orecchie e l’intelligenza.
E poi, scusate: forse che Obama ha fatto la sua campagna prendendo a schiaffi gli elettori, somministrando la pillola rossa che in “Matrix” svela la dura realtà? Non parrebbe, tanto è vero che tanti son rimasti delusi a vedere il carcere di Guantánamo ancora aperto e Osama bin Laden sforacchiato senza processo. “Adesso!” è uno slogan che fa sognare, nel paese dei gattopardi. Il nostro vecchio genitore – mica solo Alfredo Germont nella “Traviata” ne ha uno – tornando nella natia Sicilia faceva il conto dei pensionati (giovani) e degli invalidi (abili e perlopiù provvisti di secondo lavoro in nero) del quartiere, e già allora si appassionava al progetto di un ponte sullo stretto di Messina. La prima cosa che personalmente imparammo a Milano arrivando dalla Svizzera – vigeva l’equo canone, quindi era difficile trovare case in affitto – fu l’esistenza di appartamenti a prezzi ridicoli, purché si avessero le conoscenze. Lo scandaletto immobiliare che coinvolse l’allora fidanzata di Giuliano Pisapia non ci colse impreparati. A nostra volta, nei momenti bui, cominciammo a contare i baby pensionati di nostra conoscenza. Chiunque dica “adesso!”, e non “il problema è un altro”, aggiungendo belle parole sui “diritti acquisiti”, ha tutta la nostra simpatia.
Esteticamente, cosa che non guasta, il giovanotto si presenta bene e si fa capire, senza intorcinamenti linguistico-concettuali à la Nichi Vendola. Anche questo è un apprezzabile difetto, nel paese del burocratese e del politichese. I molti nemici gli fanno onore: da Eugenio Scalfari, che volterà le spalle alla sinistra casomai Matteo Renzi vincesse le primarie, al giovane direttore editoriale che in una conversazione privata dopo il primo discorso alla Leopolda lo tacciò di “male assoluto” (e del resto Marcello Fois, su Pubblico, dice che “gli manca tanto Enrico Berlinguer”). Altra medaglia, la dichiarazione su “la meglio gioventù”, che non è solo quella che ha fatto il Sessantotto e ancora ne ha nostalgia. La prossima settimana uscirà al cinema “On the Road” di Walter Salles (regista brasiliano cresciuto in una famiglia di banchieri e ambasciatori, giusto per misurarne la radical sciccheria). Già viene voglia di emigrare, al pensiero delle chiacchiere commosse che celebreranno un film bruttino, tratto da un romanzo pensato alla fine degli anni 40 – due decenni prima di “Mad Men” di Matthew Weiner, a tutti gli effetti è una serie tv paragonabile a un film in costume.
Vorremmo che Matteo Renzi facesse piazza pulita di chi è rimasto abbarbicato (senza pudore e anzi vantandosi) ai propri trent’anni o giù di lì. Da allora non hanno più visto un film che gli piacesse, non hanno più letto un romanzo a cui affezionarsi, non hanno più curiosato tra le meraviglie che offre la tv. Esempio pratico, parlando di cinema. Bellocchio e Bertolucci si erano sfidati negli anni 60 con “I pugni in tasca” e “Prima della rivoluzione”. Nel 2003 li abbiamo ritrovati a Venezia, con “Dreamers” e “Buongiorno notte”. Nel 2012 sono nei cinema con “Bella addormentata” e “Io e te”. I nemici di Renzi continuano a chiamarli maestri, e pure rivoluzionari, come se in mezzo secolo nulla fosse accaduto.


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