Gli sherpa in Nepal non vogliono più sentir parlare di global warming

Piero Vietti

Non c’è previsione sul futuro del pianeta che non preveda – prima o poi – lo scioglimento dei ghiacciai dell’Himalaya, con conseguenti inondazioni e annegamenti di zone e popolazioni che vivono da quelle parti. Non c’è studioso ed esperto che non sia andato almeno una volta in quelle zone a misurare, indagare, registrare dati e profondità di ghiacci e laghi. Negli ultimi quindici anni, però, devono avere esagerato.

    Non c’è previsione sul futuro del pianeta che non preveda – prima o poi – lo scioglimento dei ghiacciai dell’Himalaya, con conseguenti inondazioni e annegamenti di zone e popolazioni che vivono da quelle parti. Non c’è studioso ed esperto che non sia andato almeno una volta in quelle zone a misurare, indagare, registrare dati e profondità di ghiacci e laghi. Negli ultimi quindici anni, però, devono avere esagerato, se persino gli sherpa del Nepal hanno detto basta, che non se ne può più di tutto questo allarmismo su cambiamenti climatici, riscaldamento globale, ghiacciai che si sciolgono e fine del mondo imminente. “Meglio morire una volta per tutte per l’esondazione di un lago glaciale che vivere ogni giorno col terrore che succeda”, hanno fatto sapere qualche giorno fa alla Bbc per bocca di Ang Chhiri Sherpa, responsabile di un’associazione che rappresenta gli operatori turistici della zona. Paradossale dichiarazione che denuncia il terrore in cui studi e ricerche più o meno approfondite gettano queste popolazioni da parecchio tempo. Due mesi fa, dopo avere seguito un report televisivo sui rischi di esondazione di un lago nella loro regione, molte famiglie che vivevano alle pendici dell’Everest hanno abbandonato le loro abitazioni nottetempo. Chiaramente il lago non ha esondato, ma a forza di leggere e ascoltare allarmi su catastrofi imminenti, gli abitanti dei villaggi himalayani non vivono più tranquilli. E appena un allarme lanciato da qualche ricercatore si rivela infondato, eccone arrivare uno nuovo, più catastrofico del precedente. Alcuni abitanti dei villaggi più a valle, ha detto Ang Chhiri Sherpa alla Bbc, gli telefonano di notte spaventati chiedendo se per caso il lago Imja (quello al centro degli studi più approfonditi) non abbia già esondato.

    Basta con le ricerche a casa nostra, dicono gli sherpa, indispettiti anche dal fatto di non essere mai coinvolti negli studi sulle condizioni dei loro ghiacciai. Anche perché, come spesso succede quando si parla di cambiamenti climatici, vi sono ben poche certezze sull’imminente possibilità di un’esondazione, e – dicono alcuni glaciologi – dietro a questi allarmi rilanciati in continuazione ci sono lotte tra gruppi di studiosi rivali tra loro. Come detto, poi, le ricerche si concentrano quasi tutte sul lago Imja, o altri presenti nelle zone più basse dell’Himalaya, ma i risultati vengono applicati all’intera catena montuosa, con approccio poco scientifico.

    Risultato: pur di far parlare del proprio gruppo di lavoro si danno al mondo informazioni esagerate; informazioni che, riprese e gonfiate dai mass media, tornano agli sherpa sotto forma di previsioni apocalittiche. Il presidente dell’Associazione alpinistica nepalese riassume così il problema: “La situazione è tale per cui molti sherpa che vivono in quei luoghi non vogliono più sentire pronunciare le parole ‘cambiamenti climatici’”.

    • Piero Vietti
    • Torinese, è al Foglio dal 2007. Prima di inventarsi e curare l’inserto settimanale sportivo ha scritto (e ancora scrive) un po’ di tutto e ha seguito lo sviluppo digitale del giornale. Parafrasando José Mourinho, pensa che chi sa solo di sport non sa niente di sport. Sposato, ha tre figli. Non ha scritto nemmeno un libro.