La Venere di Merkel
Il Drang nach Griechenland, la spinta di Berlino verso Atene, che ha portato un cancelliere color pistacchio nella capitale originaria d’Europa, è comprensibile. Gli effetti di un’uscita dall’euro sarebbero penalizzanti per tutti. Ma il prossimo problema per la Grecia, tornata al centro dell’attenzione sia dei ministri dell’Ecofin, riuniti ieri in Lussemburgo, sia del Fmi, che tiene a Tokyo la sua conferenza annuale, potrebbe essere una seconda ristrutturazione del debito che stavolta comporterebbe perdite per gli investitori istituzionali – stati e organizzazioni internazionali – che hanno concesso aiuti.
Roma. Il Drang nach Griechenland, la spinta di Berlino verso Atene, che ha portato un cancelliere color pistacchio nella capitale originaria d’Europa, è comprensibile. Gli effetti di un’uscita dall’euro sarebbero penalizzanti per tutti. Ma il prossimo problema per la Grecia, tornata al centro dell’attenzione sia dei ministri dell’Ecofin, riuniti ieri in Lussemburgo, sia del Fondo monetario internazionale, che tiene a Tokyo la sua conferenza annuale, potrebbe essere una seconda ristrutturazione del debito che stavolta comporterebbe perdite per gli investitori istituzionali – stati e organizzazioni internazionali – che hanno concesso aiuti. Il Fondo ha anche proposto ieri di intervenire con nuove “risorse umane e finanziarie” a sostegno dei paesi europei in difficoltà.
Il capo economista della banca francese Société Générale, James Nixon, spiega al Foglio che Atene sarà terreno di contesa tra il Fmi, che avanza l’ipotesi ristrutturazione, e gli stati europei e la Banca centrale europea, che la negano. “Il Fmi ritiene che il debito greco stia salendo nuovamente a livelli insostenibili, al 170 per cento del pil, e non può legalmente fornire prestiti a paesi ritenuti insolventi – afferma Nixon – e dal momento che i creditori attualmente sono istituzionali, gli europei sono riluttanti ad accettare questa opzione”. “Saranno i governi nazionali a perdere, perché dovranno svalutare i loro prestiti bilaterali alla Grecia. E la Bce, siccome non può finanziare i governi, non parteciperà al ballo della ristrutturazione”, alla quale la Bce è contraria avendo comprato circa 5 miliardi di titoli greci. Non c’è più soltanto il problema dell’austerity, dunque. Se la Grecia soffriva fino a ieri di un “isolamento internazionale”, come affermato dal premier Samaras, ora forse sono in troppi a discutere le scelte che decreteranno le sorti del paese.
Angela Merkel è arrivata ieri in Grecia, per la prima volta da quando è esplosa la crisi del debito europea, nel 2009, e ha chiesto al governo greco di procedere con le riforme, promettendo l’impegno a mantenere il paese nell’Eurozona. La cancelliera tedesca si è presentata come “alleata e amica” del popolo greco al quale ha voluto fornire sostegno, almeno a livello diplomatico, nel momento più difficile di sempre per l’economia nazionale: il 2013 sarà il sesto anno consecutivo di recessione, rivelano i dati del governo, ed entro la fine di novembre le casse di stato saranno vuote senza l’arrivo di nuovi aiuti internazionali vincolati però al giudizio dei creditori riuniti sotto l’insegna della Troika (Banca centrale europea, Fondo monetario internazionale, Unione europea). Merkel è arrivata in mattinata all’aeroporto “Venizelos”, mentre per le strade della capitale 7 mila poliziotti tentavano di contenere le proteste con l’uso di gas lacrimogeni (un acre ricordo della guerriglia urbana del maggio 2010). Proteste concentrate in piazza Syntagma alle quali ha partecipato il popolare leader di Syriza, partito di sinistra radicale, Alexis Tsipras. “Fuori Merkel, questa non è una tua colonia”, “questa non è Unione europea, è schiavitù”, sono alcuni degli slogan dei manifestanti scesi per le strade, tra bandiere con le svastiche date alle fiamme.
Nonostante l’approccio dialogante di Merkel, l’accoglienza non è stata amichevole. A leggere la stampa greca, l’austerità imposta da Berlino è una ferita che brucia, ed è ancora presto per dimenticare le parole del ministro delle Finanze, Wolfgang Schäuble, che descrisse Atene come “un pozzo senza fondo” che aveva bisogno di uno “sparkommissar” per tenere sotto controllo le finanze di stato. Da parte del primo ministro conservatore, Antonis Samaras, è arrivato un formale “mea culpa” per gli “errori del passato” e la richiesta di più tempo per raggiungere gli obiettivi di bilancio al fine di incontrare le richieste della Troika: 13,5 miliardi di risparmi per ottenere 31,5 miliardi di nuovi prestiti. Le trattative con gli ispettori, dopo un periodo di stallo dovuto a dubbi sulla consistenza dei tagli, riprenderanno a breve e Merkel ha promesso “più aiuti” una volta che avrà visionato il rapporto finale della Troika. Sono stati fatti “progressi enormi” ma “c’è ancora lavoro da fare”, ha detto Merkel facendo eco a delle dichiarazioni fatte in mattinata al Parlamento europeo dal presidente della Bce, Mario Draghi. E non sarà abbastanza una nuova tranche di aiuti, ha aggiunto la cancelliera, perché adesso c’è “bisogno di crescita oltre che di risparmi”. Samaras, durante la conferenza stampa, ha riconosciuto la “comprensione” tedesca e ha promesso che il paese “farà fronte ai suoi impegni per uscire dalla crisi” perché “vuole restare nella zona euro”. Impegno manifestato di rimando da Merkel.
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