L'ostetrica

Annalena Benini

Il minuto in cui si decide che bisogna chiamare l’ostetrica è sempre quello decisivo, da lì in poi tutto cambia e procede velocemente verso un altro inizio, la nascita, il futuro. Si chiama l’ostetrica, si urlano parolacce (non tutte lo fanno, esistono madri perfette che partoriscono sussurrando gentilezze) e il più è quasi fatto. L’ostetrica saprà cosa fare, che ordini dare, come far credere al dottore che sta facendo tutto lui, mentre è lei ad avere in mano la situazione, e gli occhi negli occhi della donna che deve condurre alla vittoria.

    Il minuto in cui si decide che bisogna chiamare l’ostetrica è sempre quello decisivo, da lì in poi tutto cambia e procede velocemente verso un altro inizio, la nascita, il futuro. Si chiama l’ostetrica, si urlano parolacce (non tutte lo fanno, esistono madri perfette che partoriscono sussurrando gentilezze) e il più è quasi fatto. L’ostetrica saprà cosa fare, che ordini dare, come far credere al dottore che sta facendo tutto lui, mentre è lei ad avere in mano la situazione, e gli occhi negli occhi della donna che deve condurre alla vittoria. Non le dira mai cose come quelle sentite pronunciare in tivù da Pier Luigi Bersani: “Devi fidarti del collettivo”, non perderà tempo a criticare gli altri dottori e agirà, mettendoci quasi sempre parole giuste, senso pratico e molta ironia (ricordo personale: l’ostetrica che rassicura mio marito spiegandogli che lui non deve partorire, ma solo trovare una penna per compilare un modulo). “Call the Midwife” è il titolo della serie televisiva inglese di successo, seconda solo a “Downton Abbey”, che adesso è in onda in America. La storia, tratta dall’autobiografia (trilogia) di Jennifer Worth, che divenne ostetrica negli anni Cinquanta a Londra, racconta le avventure in bicicletta (e le cadute) e gli amori, nelle strade fangose dei sobborghi dell’East London, di un gruppo di donne intrepide e modernissime, speciali cicogne dotate di strumenti antichi che fanno urlare solo a guardarli: affrontano parti, povertà, disperazione con l’aria solida e compassionevole che hanno le donne che sanno da dove passa la vita, sanno quando le chiacchiere non servono a niente e bisogna prendere decisioni istantanee. Il fatto che non esistessero ecografie, monitoraggi, epidurali, ma quasi soltanto asciugamani e acqua calda, poi, rende il tutto ancora più eroico e spettacolare, fa pensare che davvero queste midwifes che spargono bambini per il mondo, il mondo saprebbero governarlo benissimo.

    Anche in “Hysteria”, la commedia sull’invenzione del vibratore, sempre ambientata a Londra, ma settant’anni prima, la giovane Maggie Gyllenhaal gira la città in bicicletta e, oltre a cercare di curarle, se neccessario aiuta le donne povere a partorire, con energia e ostinazione, mentre il padre, medico delle ricche signore depresse e bisognose di stimolazioni manuali, si indigna perché la figlia-ostetrica arriva in ritardo e scarmigliata per cena, avendo dovuto assistere all’ennesimo parto, e nessuno ha voglia, all’inizio, di condividere il suo entusiasmo per il senso di vitalità e potenza che emana da un neonato che strilla con tutta la forza della nuova vita. La parola successiva è “fanatica”. Ma poi il mondo la capisce e, come nelle favole, tutto diventa migliore.

    “Call the Midwife” è un monumento, ma pieno di autoironia e brillantezza, alle signore che dedicano la loro vita a far nascere le vite degli altri, a togliere delicatamente quei giri di cordone ombelicale intorno al collo, con poche mosse sapienti e fulminee. Non c’è niente che non possano affrontare, figuriamoci se una crisi economica è più complicata di un parto podalico. Quando l’ostetrica ucraina mi ha detto sorridendo: adesso alzati, porta tuo figlio in camera, ero pronta a scalare le montagne per lei. Qualunque altra cosa mi avesse chiesto, votami alle prossime politiche, la risposta sarebbe stata: sì, certo, con entusiasmo. “Call the Midwife” è finora il migliore slogan elettorale mondiale, innovativo e rassicurante, e alla domanda: comprereste un’auto usata da queste donne?, la risposta è sempre: sì.

    • Annalena Benini
    • Annalena Benini, nata a Ferrara nel 1975, vive a Roma. Giornalista e scrittrice, è al Foglio dal 2001 e scrive di cultura, persone, storie. Dirige Review, la rivista mensile del Foglio. La rubrica di libri Lettere rubate esce ogni sabato, l’inserto Il Figlio esce ogni venerdì ed è anche un podcast. Ha scritto e condotto il programma tivù “Romanzo italiano” per Rai3. Il suo ultimo libro è “I racconti delle donne”. E’ sposata e ha due figli.