Dopo Bengasi, ora Obama manda in Libia l'uomo dei droni

Matteo Matzuzzi

Un mese dopo la promessa al popolo americano di farla pagare agli assassini dell’ambasciatore Chris Stevens, ucciso l’11 settembre scorso nelle stanze del consolato americano di Bengasi assieme ad altri tre membri della missione di Washington, Barack Obama ha mandato ieri in Libia il fidato John Brennan, l’ascoltatissimo capo dell’antiterrorismo autore delle speciali liste in cui vengono elencati gli obiettivi da colpire con i droni. Il compito affidato a Brennan è delicato: uscire dallo stallo, fare ordine e chiarire innanzitutto chi avrà la responsabilità di perseguire penalmente i responsabili dell’assalto alla sede diplomatica di Bengasi.

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    Roma. Un mese dopo la promessa al popolo americano di farla pagare agli assassini dell’ambasciatore Chris Stevens, ucciso l’11 settembre scorso nelle stanze del consolato americano di Bengasi assieme ad altri tre membri della missione di Washington, Barack Obama ha mandato ieri in Libia il fidato John Brennan, l’ascoltatissimo capo dell’antiterrorismo autore delle speciali liste in cui vengono elencati gli obiettivi da colpire con i droni. Il compito affidato a Brennan è delicato: uscire dallo stallo, fare ordine e chiarire innanzitutto chi avrà la responsabilità di perseguire penalmente i responsabili dell’assalto alla sede diplomatica di Bengasi. Le opzioni sono varie: il governo libico (una volta che il Parlamento avrà trovato un premier in grado di ottenere la fiducia dei deputati), il trasferimento coatto negli Stati Uniti con conseguente processo in qualche corte americana, un’azione militare fatta con l’uso di droni. Il fatto che l’Fbi sia in Libia non deve far pensare che tutto sia già deciso, che Obama abbia scelto di portare gli assassini a rispondere dei loro comportamenti davanti ai tribunali americani. Il Federal bureau ha mostrato più di una falla in queste settimane: i suoi agenti hanno raggiunto il consolato di Bengasi solo tre settimane dopo la morte di Stevens e le informazioni trasmesse a Washington non sono state sempre accurate. Brennan è andato a Tripoli per incontrare i leader libici e organizzare le prossime mosse, cercando di capire se sia pensabile organizzare un processo credibile in un paese che attualmente non è neppure in grado di costituire un governo legittimo.

    Il capo dell’antiterrorismo, però, è tipo da scegliere la soluzione dura, i bombardamenti dal cielo con i droni. Affidarsi ai tribunali dell’ex Giamahiria è rischioso, dal momento che il sistema giuridico del nuovo stato sorto dalle ceneri della quarantennale dittatura di Muammar Gheddafi è ancora in via di formazione: “A Bengasi i tribunali funzionano, ma solo parzialmente”, dice al Washington Post il colonnello Mohammed Gweider, capo dei tribunali speciali e della prigione di Tripoli. Il problema, aggiunge, “è che la debolezza del governo si sta riflettendo sul sistema giuridico del paese”. Da decidere, inoltre, è se l’assalto al consolato sarà ritenuto dal governo degli Stati Uniti un semplice atto criminale o se invece assumerà i contorni ben più gravi dell’atto di guerra. La Casa Bianca – a meno di un mese dalle elezioni presidenziali – va con cautela, analizzando nel dettaglio i risvolti e le conseguenze che una decisione piuttosto che un’altra potrà avere sulle relazioni non soltanto con la Libia ma con il medio oriente in generale: l’estradizione dei presunti colpevoli susciterebbe un’ondata di proteste e reazioni difficilmente controllabili: sembrerebbe, sostengono i più dubbiosi sull’adozione di una strategia d’attacco, una resa di Tripoli agli Stati Uniti. E la popolazione locale potrebbe reagire con nuove manifestazioni di protesta che facilmente degenererebbero in disordini convulsi.

    Brennan non sembra pensarla allo stesso modo. D’altronde, è l’uomo che presiedeva – come rivelato dal Washington Post il 2 ottobre – i vertici segreti alla Casa Bianca durante i quali si studiava l’opportunità di usare i droni per colpire gli uomini di al Qaida nel Maghreb islamico attivi nel Mali settentrionale e che lo scorso maggio – come rivelato dal sito Intelligence Online – la Cia utilizzava velivoli senza pilota al di fuori della base di Guelmim, nel Marocco meridionale. Nelle riunioni riservate, Brennan avrebbe insistito sulla necessità di attaccare preventivamente il Mali, considerato che ogni giorno che passa il peso di al Qaida aumenta sempre di più e che solo un bombardamento aereo su obiettivi mirati avrebbe potuto circoscrivere la minaccia alla stabilità del nord Africa. Una convinzione che ora, in riferimento alla confusa situazione libica, si è rafforzata ulteriormente.

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    • Matteo Matzuzzi
    • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.