La Tobin tax è figlia di una pedagogia nobile e ineffettuale

Alessandro Giuli

Mister Tobin, I presume”. Secondo le premesse oleografiche bisognava immaginarsela così, la tassa sulle transazioni finanziarie: un esterno giorno africano con l’inquilino medio del Terzo mondo che riceve dalle mani dell’eroe eponimo i proventi di un balzello inflitto agli occidentali, agli inquilini del privilegio dediti alla speculazione. Oggi che la Tobin tax è legge europea, con la non trascurabile eccezione britannica, assistiamo invece disillusi al trionfo del paradosso.

    "Mister Tobin, I presume”. Secondo le premesse oleografiche bisognava immaginarsela così, la tassa sulle transazioni finanziarie: un esterno giorno africano con l’inquilino medio del Terzo mondo che riceve dalle mani dell’eroe eponimo i proventi di un balzello inflitto agli occidentali, agli inquilini del privilegio dediti alla speculazione. Oggi che la Tobin tax è legge europea, con la non trascurabile eccezione britannica, assistiamo invece disillusi al trionfo del paradosso: gli altermondisti (come Pierluigi Sullo sul Manifesto di ieri) scoprono che la fame degli ultimi non verrà placata dalla tassa concepita per “disarmare i mercati”; mentre i capitalisti (come Carlo Bastasin sul Sole 24 Ore, sempre ieri), fermi sulla stessa consapevolezza, ne lodano tutt’al più l’obiettivo di “riportare al centro del dibattito europeo la responsabilità nella crisi del sistema finanziario”, crisi “troppo sbrigativamente liquidata come un problema di paesi periferici indebitati”.

    Al netto di questa singolare dialettica servo-padrone, c’è che la missione della Tobin tax è superata dal sistema multicentrico della globalizzazione finanziaria: se mi tassi in Europa fuggo in Gran Bretagna e negli Stati Uniti, dove non per caso ha eletto domicilio la parte maggioritaria del capitale finanziario. Si poteva forse intervenire “prima che i buoi scappassero dalla stalla” (ancora il Manifesto), ma senza farsi illusioni smisurate sul montepremi da raccogliere. Se nella ragione sociale della Tobin tax è implicito il concetto della tassa di scopo, tale obiettivo alla prova dei fatti si dimostra essenzialmente simbolico e morale: qui si sanziona la pratica del far quattrini coi quattrini, senza presunzione di successo. Il popolo di Porto Alegre e i contribuenti iper tassati devono accontentarsi dunque del punto politico: la Vecchia Europa franco-tedesca, in cambio di un patto sui bilanci dal sapore rigorista e depressivo, offre in pasto agli elettori una tassa sacrosanta e ineffettuale, quanto tardiva: “Sarà probabilmente nociva dal punto di vista dell’efficienza economica, ma potrebbe segnalare che per le società i comportamenti opportunistici non sono etici” (Bastasin). Sicché sono i soliti thatcheriani a salire in cattedra: “E’ la soluzione sbagliata a un problema reale; ci sono gravi abusi da parte delle banche, ma l’aumento degli abusi deriva da conflitti di interessi, vendita fraudolenta di prodotti finanziari, divergenza degli interessi tra management e azionisti, insider trading, un sistema regolatorio deficitario, cattiva gestione delle imprese finanziarie, eccessiva assunzione di rischi da parte di coloro che effettivamente ne beneficiano lasciando le perdite agli altri, che sono – in ultima analisi – i contribuenti” (Centre for Policy Studies, con base a Londra). Il pragmatismo anglosassone non sa che farsene di un buon gesto improduttivo. La pedagogia continentale è invece salva, anche grazie all’appoggio della giunta tecnocratica italiana fortemente incalzata dai socialdemocratici del Pd.

    Un po’ controvoglia, il premier Mario Monti e il ministro dell’Economia Vittorio Grilli hanno deciso all’ultimo minuto di omologarsi al vento centro-europeo. Non senza una clausola di buon senso, in fondo anche patriottico: la Tobin tax non si applicherà ai titoli di stato. Altro sintomo, questo, del timore sui possibili effetti collaterali di un provvedimento tacitamente giudicato anacronistico e a doppia lama. Con un poco di coraggio in più, si sarebbe almeno potuto stabilire un vincolo unico di destinazione per il magro bottino in vista: i salari da detassare, quel che ne resta. Altro che Africa.