Le bambine scomparse e il grande scrittore dello shandong
“Le femmine non contano” nella Cina raccontata da Mo Yan
"Le bambine non contano”, dice la contadina dello Shandong alla scrittrice Xinran Xue, che protesta raccapricciata di fronte alla soppressione di una neonata, buttata in un secchio a testa in giù subito dopo essere stata partorita. Lo racconta l'Economist nel suo ultimo numero, che dedica la copertina alla strage delle bambine – abortite, soppresse alla nascita, lasciate morire, non curate – in Asia.
"Le bambine non contano”, dice la contadina dello Shandong alla scrittrice Xinran Xue, che protesta raccapricciata di fronte alla soppressione di una neonata, buttata in un secchio a testa in giù subito dopo essere stata partorita. Lo racconta l'Economist nel suo ultimo numero, che dedica la copertina alla strage delle bambine – abortite, soppresse alla nascita, lasciate morire, non curate – in Asia. “Le femmine non contano”, dice il vecchio padre contadino al protagonista del racconto “Esplosioni”, di Mo Yan, contenuto nel libro “L'uomo che allevava i gatti” (Einaudi) e che leggiamo, seguendo l'ottimo consiglio dello scrittore Claudio Magris sul Foglio del 9 marzo.
La storia narrata da Mo Yan – pseudonimo, che sta per “colui che non vuole parlare”, dello scrittore e sceneggiatore Guan Moye, nato cinquantacinque anni fa nello Shandong, autore del fortunato “Sorgo rosso” e considerato il più importante scrittore cinese contemporaneo – dipinge con abbacinante crudezza le regole di una società nella quale è necessario dimenticarsi di sé, della propria umanità, dei propri stessi istinti di protezione e di pietà, in nome del superiore e totalitario interesse dello stato, che non vuole più di un figlio per coppia. “Esplosioni” è il racconto in prima persona di un uomo che viene a sapere della seconda gravidanza della moglie e che vuole imporle di abortire, perché non si può trasgredire alle regole, e perché un personaggio in vista come lui – un intellettuale, un cineasta impegnato nel partito comunista – deve dare per primo il buon esempio. La moglie, che sperava di mantenere il segreto per far nascere quel figlio, si ribella con tutte le forze. Dovrà invece soccombere al ricatto maritale, mentre solo il padre del protagonista oppone alla decisione la più radicale e inutile resistenza, sia pure in nome di una terribile convinzione: la prima figlia è una bambina, e dunque “non conta”, mentre il secondo potrebbe essere un maschio.
Nell'ospedale dove la coppia va per chiedere l'aborto, che sarà praticato dalla zia ostetrica del protagonista (ma anche lei all'inizio consiglia di farlo, quel bambino che forse è maschio, perché “una figlia, in fin dei conti, non va”) c'è una strana agitazione. Tutti osservano, dalle grandi finestra che affacciano sul paesaggio agricolo tagliato dalla strada statale, l'inseguimento di una volpe da parte di una muta di cani aizzati da un gruppo di uomini. Tutti cercano di stanare e uccidere la piccola fiera, simile a un imprendibile fuoco fatuo. Il racconto alterna la desolazione dell'attesa dell'aborto dentro l'ospedale – il letto su cui deve avvenire è a lungo occupato da una partoriente fortunata: ha avuto un maschio di quattro chili, il travaglio non finiva mai – con le immagini della caccia alla volpe, che per un tempo altrettanto infinito sembra tenere in scacco gli inseguitori, e che ogni volta, quando sembra ormai spacciata, riesce a fuggire.
Fino a quando? “Nell'ambito della messa in opera complessiva del piano di controllo delle nascite, l'aborto provocato è una misura efficace. Bisogna eliminare il terrore pregiudiziale della maggior parte delle donne nei confronti dell'aborto provocato”: mentre aspetta che la moglie abortisca, l'uomo sfoglia il manuale di ostetricia lasciato su un tavolo. Un peso di morte grava su di lui, che non sa perché: “E' un aborto, mica un'operazione grave. Sarà tutto finito in un attimo”.
Anche il protagonista del racconto intitolato “Il neonato abbandonato” ha un'unica figlia femmina. L'esserino che ha raccolto in un campo di girasoli, senza sapere se stesse facendo “una cosa buona o cattiva”, è a sua volta una bambina. “Se non fosse stata una femmina, se ne sarebbero forse sbarazzati?” gli dice, tetro, il vecchio padre. Ma l'uomo non ce la fa a riportarla dove l'ha trovata, come gli chiede la moglie. Quella neonata è già fortunata, a non essere stata affogata in un pitale o seppellita viva. Ancora più fortunata l'altra bambina appena partorita e abbandonata all'ospedale, dove il protagonista va a chiedere consiglio. La madre è fuggita piangendo alla notizia che si trattava di una femmina: un “irsuto gattino piccolo e magro”, che l'ostetrica chiama “pigrona”: “Perché non ti sei fatta crescere qualcosa in più? Se ce l'avessi, quella cosa, avresti fatto gola come un tesoro prezioso”.
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