E' finita, ora resistenza

Un Pdl senza capo né coda traffica a vuoto sulla legge elettorale

Salvatore Merlo

“Scusa presidente, come faccio a prendere tempo? I testi sono già pronti”. Così di prima mattina Lucio Malan, senatore del Pdl, relatore in commissione Affari costituzionali del disegno di legge sulla riforma elettorale, ha sentito al telefono la voce del Cavaliere dargli questo preciso consiglio: “Fa' come ti pare, ma trova il modo. Potresti chiedere di abbassare il premio di maggioranza. Vedrai che quelli del Pd in realtà saranno contenti perché la riforma non la vogliono fare”.

    Roma. “Scusa presidente, come faccio a prendere tempo? I testi sono già pronti”. Così di prima mattina Lucio Malan, senatore del Pdl, relatore in commissione Affari costituzionali del disegno di legge sulla riforma elettorale, ha sentito al telefono la voce del Cavaliere dargli questo preciso consiglio: “Fa’ come ti pare, ma trova il modo. Potresti chiedere di abbassare il premio di maggioranza. Vedrai che quelli del Pd in realtà saranno contenti perché la riforma non la vogliono fare”. Ieri pomeriggio a Palazzo Madama sono state presentate in commissione due bozze di legge, e al di là delle intenzioni di Berlusconi (e di Pier Luigi Bersani) l’iter va avanti, nel pomeriggio il Cavaliere è stato circondato dai suoi: “Non possiamo tirarci indietro”. Ma come sussurra Lorenzo Cesa, il segretario dell’Udc, “è una battaglia che si combatte giorno per giorno”. Il porcellum piacicchia a tutti, né Bersani né Berlusconi impazziscono dalla voglia di modificarlo, e così la riforma della legge elettorale rischia di trasformarsi in un’opera buffa di cui il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, è il sempre più infastidito spettatore. E bisogna proprio immaginarsi gli sguardi che si scambiano Denis Verdini e Maurizio Migliavacca, i grandi ambasciatori di Pd e Pdl, mentre discutono della riforma sapendo perfettamente che i loro due capi non hanno troppa fretta di arrivare a un voto. La Conferenza dei capigruppo di Palazzo Madama deciderà la calendarizzazione questa settimana, come era previsto? “No, è troppo presto. So che stanno lavorando”, ha detto Renato Schifani.

    Il Cavaliere, consigliato da quelle deputate che i maschi innervositi del Pdl chiamano ormai “le amazzoni”, prepara lo spacchettamento del suo vecchio partito e la costruzione di più liste da aggregare in una nuova coalizione, se Casini non ci sta (come pare), allora Berlusconi costruirà da solo il nuovo rassemblement dei moderati: ha deciso che gli ex di An si devono separare costruendo un loro partito alleato e ieri pomeriggio, a Palazzo Grazioli, lo ha ripetuto a tutti; peccato che i Gianni Alemanno, gli Andrea Augello, gli Altero Matteoli e i Maurizio Gasparri per ora non ne abbiano alcuna intenzione. Ma il Cavaliere sa essere persuasivo. Casini continua a respingere l’offerta di una nuova alleanza dei moderati, anche se ha rinfoderato i toni più liquidatori delle prime ore passando dalle pernacchie a un tiepido scetticismo.

    La speranza nei sondaggi siciliani
    Comunque sia, Berlusconi – che è apparso ai suoi uomini stranamente serio nella proposta di ritirarsi – si attrezza per le elezioni di aprile 2013 a legge elettorale invariata, con il porcellum. Ha ormai deciso, malgrado la scarsa tempestività, di tenere da conto Monti; anche lui sa che ormai è finita: ogni ipotesi di egemonia berlusconiana sulla vita dell’Italia politica e istituzionale è tramontata. A Palazzo Grazioli, già nella riunione di ieri pomeriggio, tra un accenno ai quattrini del partito (e forti lamentele di Alfano contro il Giornale), si ragionava intorno a schemi di resistenza, in una logica di “contenimento” del centrosinistra. Il Pdl, destinato quasi certamente a essere seppellito, sezionato e ribattezzato dal suo stesso fondatore, si attesta secondo tutti i sondaggi intorno al 18 per cento dei consensi, ed è un risultato che Berlusconi non giudica affatto negativo: è addirittura “sorprendente” che, malgrado Fiorito, nel Lazio il Pdl resista intorno al 13 per cento; e fanno ben sperare anche gli ultimi sondaggi che in Sicilia danno in vantaggio Nello Musumeci su Rosario Crocetta. L’arretramento di Casini, tornato a navigare intorno al 6 per cento, e la sparizione di Gianfranco Fini dalle tavole dei sondaggi sono un’ulteriore conferma: il Pdl arretra, ma alle viste non c’è nessuna opa ostile sull’elettorato di centrodestra; non ci sono uomini nuovi pronti a sostituirsi al vecchio sistema che si decompone.

    L’allarme più serio viene invece dalla periferia dell’impero, dalle regioni e dagli scandali che colpiscono le amministrazioni locali: la dissoluzione, quella vera, parte dalla Lombardia, dove ieri è stato arrestato Domenico Zambetti, assessore del Pdl nella giunta guidata da Roberto Formigoni, e si estende al comune di Reggio Calabria, per tacere del caso Fiorito nel Lazio. La domanda è: come si costruisce una diga per impedire che la dissoluzione dei cacicchi locali contagi anche i Palazzi del potere romano? La risposta per adesso non ce l’ha nessuno e il tentativo di prendere con forza le distanze dal malcostume si trova in contraddizione con la strategia della resistenza che per esempio nel Lazio porta il Pdl a ritardare lo scioglimento del Consiglio regionale per ottenere un rinvio che porti a un grande election day tra regionali, comunali e politiche.

    • Salvatore Merlo
    • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.