Piccolo Concilio
Per l'amico anglicano, il Concilio ha spezzato le catene della neoscolastica
Si dice che quando il marzo scorso, di ritorno da un viaggio in Italia (abbazia di Montecassino e monastero romano di San Gregorio al Celio) il primate anglicano nonché arcivescovo di Canterbury, Rowan Douglas Williams, annunciò al mondo la volontà di dimettersi (a dicembre si saprà il nome del suo successore in sella alla comunità anglicana), Papa Ratzinger abbia provato un piccolo moto d’invidia.
Si dice che quando il marzo scorso, di ritorno da un viaggio in Italia (abbazia di Montecassino e monastero romano di San Gregorio al Celio) il primate anglicano nonché arcivescovo di Canterbury, Rowan Douglas Williams, annunciò al mondo la volontà di dimettersi (a dicembre si saprà il nome del suo successore in sella alla comunità anglicana), Papa Ratzinger abbia provato un piccolo moto d’invidia. Mentre per Williams si prospettava un tempo di ritiro, studio e preghiera, per il Papa iniziava un’estate particolarmente dura: oltre allo scandalo Vatileaks da gestire, la terza parte del libro su Gesù di Nazaret da finire, una nuova enciclica sulla fede da scrivere, i testi per l’Anno della fede e l’anniversario dell’apertura del Concilio da sistemare. Un piccolo umanissimo moto d’invidia, che ovviamente non ha minato la profonda stima che il capo della chiesa cattolica nutre nei confronti del suo pari anglicano, non a caso l’unico rappresentante della galassia protestante invitato a Roma per il Sinodo sulla nuova evangelizzazione. Una stima che il Papa non ha nascosto oggi, quando, nell’aula del Sinodo, ha accolto con un leggero inchino del capo e un lieve sorriso le parole che il presidente delegato di turno al Sinodo, il cardinale arcivescovo di Kinshasa Monsengwo Pasinya, ha dedicato a Williams prima di offrirgli la parola: “Porgiamo il benvenuto a Sua Grazia, vescovo anglicano, teologo, poeta e scrittore ispirato e prolifico”.
Roma ha molto da imparare dagli anglicani. E il Papa lo sa. Criticato all’inizio del pontificato per aver anteposto all’ecumenismo il dialogo con gli scismatici lefebvriani, negli ultimi anni Benedetto XVI ha dimostrato sostanzialmente un atteggiamento contrario. I lefebvriani sono ancora fuori dalla comunione con Roma perché riottosi nell’accettare il Concilio. L’asse con Londra, invece, è aperta da tempo. Non solo la costituzione apostolica “Anglicanorum Coetibus” ha permesso, non senza un previo accordo fra il Ratzinger e Williams, che quegli anglicani che lo desiderano possano tornare alla comunione con Roma pur mantenendo le proprie usanze liturgiche, ma altre azioni in senso opposto (e cioè da Roma verso Londra) sono state intraprese. Su tutte l’indicazione di apprendere, da Williams e dai suoi, i segreti dell’“Alpha course”, un programma di evangelizzazione anglicano creato dal pastore londinese Nicky Gumbel della chiesa Holy Trinity Brompton (dieci lezioni per imparare le basi del cristianesimo e un weekend finale dedicato allo Spirito Santo).
Il Concilio è il tema di sottofondo di tutto il Sinodo. Ancora ieri il Papa, aprendo l’Anno della fede è tornato a parlarne. Il suo auspicio è che nessuno d’ora innanzi tradisca i testi. Soltanto tornando ai documenti ci si mette al riparo “dagli estremi di nostalgie anacronistiche e di corse in avanti” e si può cogliere “la novità nella continuità”. E anche Williams, nel suo intervento davanti ai padri sinodali, ha fatto riferimento ampiamente al Vaticano II, in una sottolineatura teologica senza dubbio non distante dalle corde ratzingeriane. E’ stato “una grande promessa, un segno che la chiesa era sufficientemente forte da porsi alcune domande impegnative sull’adeguatezza delle propria cultura e delle proprie strutture con lo spirito complesso, spesso ribelle, sempre inquieto, del mondo moderno”. Ma un merito precipuo del Concilio è stato, per Williams, quello aver rinnovato la chiesa liberandosi dalle catene della neoscolastica in favore di una teologia che “ha operato un ritorno alle fonti primordiali e più ricche, la teologia di geni spirituali come Henri de Lubac, il quale ci ha ricordato cosa significava per il cristianesimo delle origini e per quello medievale parlare dell’umanità fatta a immagine di Dio e della grazia che perfeziona e trasfigura quell’immagine così a lungo oppressa dalla nostra abituale inumanità”.
Il Sinodo ha intanto scelto i moderatori e i relatori dei circoli minori, in tutto una dozzina di gruppi ristretti, divisi per lingua e chiamati a lavorare (è questo il loro scopo) sugli interventi dei padri sinodali al fine di preparare le proposizioni che serviranno al Papa per redigere un documento finale. E’ qui che nelle prossime ore avverranno le discussioni più interessanti. I circoli lavoreranno a porte chiuse. Un moderatore è il cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del Dialogo interreligioso. E’ stato lui a tornare sul tema già affrontato dal cardinale Polycarp Pengo il primo giorno: la denuncia, ha detto Tauran, “di chi fa violenza facendosi scudo dietro una religione”. La nuova evangelizzazione è anche una sfida da giocare con chi appartiene ad altri credo. Le parole di Tauran sono dirette anche internamente alla chiesa: “Alcuni cristiani, ignorando spesso il contenuto della loro fede e incapaci di viverla e viverne, non sono adatti al dialogo interreligioso che inizia sempre con l’affermazione delle proprie convinzioni: non c’è posto per il sincretismo o il relativismo”.
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