Tu camper, io benzina
Ci sarebbe certo da dire, sulla bersaniana pompa di benzina. Per il manifesto dell’adunata di oggi è stata di sicuro una scelta graficamente felice (Hopper è sempre una scelta graficamente felice), ma pure scelta emotivamente strampalata: a parte, si capisce, la comprensibile evocazione dell’antico mestiere paterno in quel di Bettola, il pieno e controllo dell’olio che il giovane Pier Luigi diligentemente effettuava.
Ci sarebbe certo da dire, sulla bersaniana pompa di benzina. Per il manifesto dell’adunata di oggi è stata di sicuro una scelta graficamente felice (Hopper è sempre una scelta graficamente felice), ma pure scelta emotivamente strampalata: a parte, si capisce, la comprensibile evocazione dell’antico mestiere paterno in quel di Bettola, il pieno e controllo dell’olio che il giovane Pier Luigi diligentemente effettuava. Il fatto è che la pompa di benzina non è proprio il luogo della massima socialità – e volendo e prestando migliore orecchio alle rimembranze di Bersani (pompa di benzina Esso, “più progressista”, spiegò, rispetto a quella del babbo di Fini, che smerciava il più conservatore carburante Agip), e per maggior forza evocativa, i suoi avrebbero dovuto indirizzarlo verso un’altra opera di Hopper, dove invece della desolata stradina di campagna figura una stazione di servizio in pieno centro cittadino, appunto con tanto di insegna Esso (di allegro colore, come di Schifano). Dunque i distributori – come Vasco, come gli Ac/Dc, come san Gregorio Magno, come il sempre evocato culatello, persino Hopper stesso: ché in un suo bar finì ritratto, quando fu scoperto a farsi una birretta solo soletto al pub – strategicamente si situano nel destino umano e politico di Bersani, così quando da ministro si ritrovò a battibeccare con una delegazione di benzinai delle sue liberalizzazioni, che molti suoi interlocutori avrebbero voluto inzuppare con apposita tanica di benzina stessa, maliziosamente osservò: “Ohè, mi sa che intorno a questo tavolo l’ultimo che ha servito a una pompa di benzina sono io”.
E mentre tutti vanno altrove – volendo così apparire a vocazione di conduttori o uomini di mondo – Bersani sotto la paterna tettoia ritorna, un’ideale pelle di daino infilata nella tasca posteriore, a tessere le lodi, prima che del luogo dell’approdo, di quello della partenza: pelagiano (il suo giovanile peccato di eresia) uomo di borgo. Eppure, lo stesso la pompa di benzina evoca più solitudini transitanti che futuri destini, più breve sosta che marcia verso l’avvenire. Perciò, se si osservano i due capolavori di Hopper, in uno (quello bersaniano) c’è un tizio mesto e solitario che armeggia intorno alla pompa, nell’altro una figurina femminile turchese che si perde sullo sfondo. La pompa di benzina non è fatta (quasi, verrebbe da dire, per funzione istituzionale) per aggregare quanto per disperdere – assicurato il pieno di che vuoi parlare, del ministro Passera? E senza voler mettere di mezzo il distributore di piazzale Loreto dove il ducesco mascellone finì appeso, né dal punto di vista letterario né dal punto di vista cinematografico la pompa di benzina è mai stata considerata luogo troppo appetibile: tutt’al più per sparire – come la bella fidanzatina nell’angosciante “The Vanishing”, o per impazzire in attesa di una promessa che non si potrà mai mantenere, come nel capolavoro di Dürrenmatt, “La promessa”, al massimo un alito dei fratelli Coen. E’ perciò un azzardo politico-culturale, oltre che un filiale omaggio, quello che oggi tenterà Bersani – che pure anni fa, con esemplare preveggenza, teorizzò che “la tristezza è un lusso da ricchi”, e che le masse hanno da avere, possibilmente, cuor contento e serbatoio satollo. Avendo scoperto anni e anni fa – dopo infatuazioni trotzkiste e abbuffate parolaie e seminari con compagni nordcoreani alle Frattocchie – quella che chiama “la nobiltà della metafora”, che ha già prodotto classici come lo smacchiamento del giaguaro, quale metafora più calzante, a consacrazione dell’avvio di un viaggio, di quella che si celebra accanto a una pompa di benzina? E’ come partire con un minimo di sicurezza iniziale, la spia sul cruscotto lontana dal rosso, il radiatore revisionato, “non correre, pensa a me”. Persino, volendo, l’arbre magique che fronteggia durante il percorso il fumo del toscano – ché fumarsi un toscano (fumarsi soprattutto quel toscano) ha da essere esperienza di rara soddisfazione, quasi divina.
La pompa bersaniana non sarà alla fine meno evocativa del Lingotto veltroniano o della scaffalatura berlusconiana (“oh ragassi, questo è il distributore che amo”, già s’ode), e segnerà un azzardo, ma pure una novità. Dove, sotto l’avita tettoia – sempre c’è la solita pena e la penosa scena di dover ramazzare moderati e cattolici – Bersani potrà evocare la mamma che lo metteva su strada, alle sei del mattino, per andare a recitare le novene, consegnando al figliolo il saggio ammonimento: “Se vuoi essere comunista almeno non raccontarlo in giro”, nemmeno lo avesse scambiato per Renzi… Che poi e a proposito, transitasse mai da quelle parti il camper dello sbirulino toscano, a secco e con le ruote sgonfie e persino con impellenti necessità fisiologiche e cesso intasato: “Ohè, ragassi, siam fuori servizio”. Meglio di “Psycho”, sarebbe.
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