Mi dedico a un Santo Uffizio
Gerhard Ludwig Müller, 64 anni, custode della Fede dallo scorso 2 luglio dopo i sette anni di William Joseph Levada e i ventiquattro di Joseph Ratzinger, parla con il Foglio dell’impegnativo anno sociale che Benedetto XVI inaugura in queste ore. Non solo il Sinodo dei vescovi sulla nuova evangelizzazione, ma anche un anno dedicato alla fede (presto uscirà anche una lettera enciclica) nell’anniversario dei cinquant’anni dall’apertura del Concilio Vaticano II e dei venti dalla pubblicazione del nuovo Catechismo.
Gerhard Ludwig Müller, 64 anni, custode della Fede dallo scorso 2 luglio dopo i sette anni di William Joseph Levada e i ventiquattro di Joseph Ratzinger, parla con il Foglio dell’impegnativo anno sociale che Benedetto XVI inaugura in queste ore. Non solo il Sinodo dei vescovi sulla nuova evangelizzazione, ma anche un anno dedicato alla fede (presto uscirà anche una lettera enciclica) nell’anniversario dei cinquant’anni dall’apertura del Concilio Vaticano II e dei venti dalla pubblicazione del nuovo Catechismo.
Prima di affrontare i temi caldi, una premessa. Chi è Müller? Ex vescovo di Ratisbona, amico di famiglia dei Ratzinger, a lui Benedetto XVI ha affidato la cura della sua Opera Omnia. A lui che, si legge nelle biografie, “è in contatto con Gustavo Gutiérrez, il padre della Teologia della liberazione sudamericana, con cui mantiene una lunga e intensa amicizia”. Un custode della Fede amico della Teologia della liberazione, c’è contraddizione? “Ma no, figurarsi. La chiesa è un corpo con una sola anima, lo Spirito Santo. E’ lo Spirito che è pluriforme ed è ricco di tante voci: stiamo attenti però a non sostituire la vivace fecondità dello Spirito con la povertà della nostra voce. Per quanto riguarda la cosiddetta Teologia della liberazione, occorre dire che sotto questa espressione si trovano molte istanze, anche diverse fra loro, alcune praticabili altre meno, unite dal comune sforzo di dare risposta all’emergenza umana verificatasi in alcune situazioni sociali difficili del Terzo mondo, caratterizzate da gravi sperequazioni, povertà e ingiustizie sociali e dall’assenza quasi totale di diritti. E poiché la vita eterna che proclama la chiesa comincia già in questo mondo con una vita umana degna, la chiesa stessa non può rimanere ai margini di situazioni sociali così pesanti. La missione della chiesa, essenzialmente religiosa, include anche la promozione e la difesa della dignità e dei diritti fondamentali dell’uomo. Qui sta il grande contributo della sua dottrina sociale, come ci ha richiamato di recente Benedetto XVI, specialmente con la sua enciclica Caritas in veritate. Si muove da qui ogni sforzo della chiesa per liberare l’uomo”.
Liberare l’uomo. Il Papa riparte dalla fede. E cioè dal tema principe del suo pontificato che è quello di mettere Dio al centro della vita non solo dei credenti ma di tutti. Un’impresa che sembra ardita. Quel “Dio è morto” col quale Friedrich Nietzsche esplicitò l’assunto secondo cui Dio non era più la fonte dell’agire morale, sembra avere un senso ancora oggi. Dio è morto per la società odierna? “Questa affermazione di Nietzsche esprime il suo nichilismo e il suo rifiuto di Dio. In realtà, Dio non può essere ridotto nemmeno a una legge o a un postulato validi per l’agire morale dell’uomo: non abbiamo bisogno di un Dio così, che rimane in fondo in balia di nostre speculazioni su di lui. Il fatto è che, lo vogliamo o no, Dio esiste e si è rivelato. Egli esiste indipendentemente da ogni nostra affermazione o negazione di lui. Egli esiste ed è vivo, così vivo da donarci la vita e renderci persone, cioè esseri simili a lui. Egli è così vivo che si rapporta a noi come un Padre che non ci lascia in balia dei nostri limiti e dei nostri sbagli, ci sorregge e ci corregge. Ci viene incontro in Gesù Cristo e ci risolleva dalle nostre miserie con il suo Spirito, ci infonde speranza, ci riempie il cuore di sollecitudine per chi è nel bisogno. Questo Dio ha iniziato la storia creando il mondo e, rivelandosi, ha intessuto con gli uomini una storia di salvezza, si è reso incontrabile in questo mondo. Non male per un Dio ‘morto’, no?”.
La chiesa cattolica lancia un anno dedicato alla fede in concomitanza con l’anniversario dell’apertura del Concilio. Per molti la chiesa è sempre un passo indietro rispetto alle sfide del mondo e la non piena ricezione del Concilio ne è per molti una causa. E’ così? “Abbiamo innanzi a noi molte sfide. Fra queste, senz’altro, tutto ciò che rappresenta una risorsa o un problema per l’uomo concreto, tutto ciò che in positivo o in negativo mette in gioco il suo sviluppo integrale. In questo senso, possiamo dire che rappresentano oggi una sfida: la pace fra i popoli, la giustizia sociale, la dignità della vita umana dal concepimento fino alla morte naturale, e così il diritto di ogni bambino a crescere ed essere educato in una famiglia, insomma tutto ciò che favorisce il benessere reale di tutto l’uomo e di tutti gli uomini. Si tratta di temi nei quali sono in gioco valori così importanti da essere considerati inderogabili. Basta osservare l’impegno della chiesa nei vari continenti per vederla all’opera nel tentativo di rispondere a queste sfide. Certamente ci possono essere limiti, carenze, sbagli commessi da cristiani ma nessuno può negare che il cuore della chiesa batte per il bene dell’uomo. Nello stesso tempo, la chiesa afferma una sua visione dell’uomo e del mondo, perché con la sua millenaria esperienza sa bene che per affrontare in modo efficace i problemi occorre inscrivere il proprio impegno in un orizzonte adeguato. Tanto più che oggi ci troviamo in un tempo incapace di offrire orizzonti di ampio respiro all’agire umano e tutto sembra risolversi in prospettive ridotte e di breve durata. I risultati però sono sotto gli occhi di tutti. Perciò la chiesa mette al centro della sua agenda la fede: la fede implica una chiara cosmo-visione e una precisa antropo-visione. La fede nasce dalla comunione con Dio e genera una comunione con lui e fra gli uomini: il Concilio Vaticano II lo dice chiaramente. Questa comunione con Dio e fra gli uomini offre prospettive che consentono di reperire risposte adeguate ai bisogni dell’uomo. E i bisogni dell’uomo concreto non si fermano alle viscere, perché vanno dal bisogno di pane fino alle esigenze senza fine del cuore. Sia lo stomaco che il cuore hanno bisogno di risposte concrete. Mentre le mani della chiesa cercano, come possono, di offrire all’uomo il pane, il suo cuore non smette di parlare al cuore degli uomini”.
Insistere unilateralmente sulla continuità del Vaticano II con la tradizione, soprattutto con quella immediatamente precedente il Concilio stesso, equivale a negare che sia veramente accaduto qualcosa, che il Vaticano II sia stato un “evento”? “Il Concilio Vaticano II elabora la sua dottrina della fede in continuità con la tradizione: la novità è che lo fa in una forma pastorale. Benedetto XVI parla di ‘riforma nella continuità’. Nella fedeltà sincera alla tradizione della chiesa, abbiamo sempre bisogno di riforma e purificazione. Gesù nel Vangelo parla di una purificazione attraverso il ‘sale’. Il sale purifica e conserva nello stesso tempo: a volte il sale, sulle ferite, causa anche dolore. ‘Riforma’ non significa adeguarsi alle mode del giorno, significa fare riferimento a Cristo Crocifisso e Risorto e al suo Vangelo. Sono la sua presenza e il Vangelo di Gesù a dar sapore alla vita dell’uomo. Il Vaticano II è un autentico evento di grazia, con cui lo Spirito ripropone il Vangelo alla chiesa, mostrandole nuovi cammini. Non è però un salto rispetto alla tradizione, altrimenti la chiesa deflagrerebbe. Nello stesso tempo, lo dice Gesù stesso, un sale che non dà sapore serve solo a essere gettato via”.
La chiesa trasmette la fede e anche la difende. Ma spesso questa difesa è criticata. Recentemente le suore americane della Leadership Conference Women Religious hanno criticato la sua congregazione che ha deciso di “commissariarle” perché colpevoli di portare avanti “temi femministi radicali”, di “non parlare contro l’aborto e il matrimonio omosessuale”, e di rifiutarsi di ritirare una dichiarazione del 1977 che chiedeva l’apertura del sacerdozio alle donne. Chi sbaglia, voi o loro? “La rivelazione di Dio è affidata alla chiesa, che la trasmette per mezzo della scrittura e della tradizione. Nello stesso tempo, la chiesa insegna che l’interpretazione definitiva della rivelazione spetta al magistero, vale a dire al Papa e ai vescovi in comunione con lui. La chiesa si attende dai suoi membri una fedeltà sostanziale a quanto rivelato da Cristo e da lei interpretato. A volte, corregge coloro che sbagliano: se non lo facesse, verrebbe meno alla sua missione di Mater et Magistra. Devo dire che guardo con simpatia a ogni assemblea nella chiesa: la chiesa vive della responsabilità dei suoi membri che liberamente si associano e si nutre della vita di ogni sua comunità, da quelle piccole a quelle grandi, fatte da laici, sacerdoti, consacrati. Nello stesso tempo non mi pare che nessuna assemblea possa autocostituirsi come istanza di interpretazione autentica della rivelazione. Fra l’altro, i temi menzionati riguardano anche elementi dogmatici. La domanda corretta non è ‘chi sbaglia?’, ma ‘chi rispetta la rivelazione e i suoi elementi essenziali?’”.
Müller conosce bene la realtà della chiesa di lingua tedesca. Qui gruppi vicini al movimento Wir sind Kirche (Noi siamo chiesa) – e anche altri gruppi – premono perché la chiesa riformi se stessa abolendo l’obbligo del celibato sacerdotale, adottando una linea morbida verso i divorziati risposati, favorendo la presenza femminile nei posti di governo della chiesa. Sono richieste legittime? “La pressione esercitata attraverso i media sulla chiesa non è un elemento di sviluppo del dogma. Non è possibile una riforma senza accogliere sinceramente le parole di stima per il celibato sacerdotale che ha pronunciato il Concilio Vaticano II, specialmente nel decreto Presbyterorum ordinis. Per quanto riguarda poi coloro che sono divorziati civilmente, la cosiddetta ‘soluzione’ del caso credo stia nella riscoperta della indissolubilità del matrimonio, come sacramento istituito da Gesù Cristo. In questo senso, occorre anzitutto una rinascita delle coscienze nella riscoperta di ciò che implica la sacramentalità del matrimonio, della ricchezza di questo dono. Vi è un enorme bisogno di dare stabilità alle famiglie e non di favorire un loro facile scioglimento. Poi è anche doveroso occuparsi pastoralmente di tutti coloro che sono in difficoltà. Laddove l’uomo è in una situazione di reale bisogno, la chiesa si sente interpellata e chiamata ad agire, sempre, con verità e carità”.
La chiesa è stata attraversata negli ultimi anni da conflitti dolorosi. Nel 2010 i media di tutto il mondo hanno portato alla ribalta il problema dei peccati carnali dei preti. La chiesa sembra abbia voluto adottare una linea penitenziale, riconoscendo anzitutto le proprie colpe. Questa linea non rischia di sottostare troppo a quella che anche il Papa chiama “dittatura del conformismo”? Nel nome del conformismo che vuole che ogni cosa sia pubblica, trasparente, si aprono le porte a una modalità di agire che per forza di cose non può essere assunta in toto dalla stessa chiesa (pensiamo ad esempio al segreto del sacramento penitenziale). “Abusare di coloro che sono deboli, e fra questi poniamo i minori, è un peccato grave davanti a Dio ed è, da sempre, contrario all’ethos di ogni buon sacerdote. Vorrei però rilevare che, in moltissimi di questi dolorosi casi, la cui presenza purtroppo attraversa trasversalmente tutta la società e non solo la chiesa, si è in presenza di persone psicologicamente ferite da malattia, le quali feriscono a loro volta: in tal senso, non è corretto colpire solo la chiesa e tutta la chiesa. Fra l’altro, in Germania, quest’anno sono state sollevate circa ventimila accuse di abusi su minori ma non pare che finora sia stato coinvolto alcun prete. Ormai la linea della chiesa è chiara al riguardo. Sia la Santa Sede che le diocesi vegliano e sono impegnate nell’eliminare questo fenomeno. Perciò è davvero scorretto e fazioso accusare tutti i preti come se il sacerdozio favorisca una inclinazione agli abusi. Significativamente, coloro che sono coinvolti in abusi, rispetto alla totalità dei sacerdoti, sono pochi in percentuale. Per questo la campagna di stampa che si è scatenata contro la chiesa e il sacerdozio cattolico è stata una grande ingiustizia. Una ingiustizia contro le migliaia di pastori che si prodigano e si spendono ogni giorno, gratuitamente e con tutto se stessi, per educare i giovani e accompagnarli alla maturità”.
Eccellenza, perché si è fatto prete? “Mia mamma racconta sempre che quando avevo quattro anni è venuto il vescovo di Magonza nella nostra parrocchia e io rimasi così colpito dalla sua figura che le dissi: ‘Voglio farmi vescovo!’. E così è stato… A parte gli scherzi, in realtà la vocazione viene da Dio, non ce la diamo noi. In questo senso, è un dono. Un dono anzitutto da scoprire, accogliere, incrementare, custodire, e qui sta la nostra parte. E’ un dono di vita nuova che comincia nel battesimo e non si ferma alla sua forma esteriore. Un dono che ci interpella attraverso circostanze concrete, magari apparentemente banali e buffe, come quelle che ho raccontato sopra, di un bambino o di un ragazzo che rimane positivamente colpito e affascinato da una figura sacerdotale. In effetti per me è stato così, perché ho incontrato tanti bravi preti nella mia gioventù, fino al punto da sentirmi io stesso interpellato da questa affascinante strada verso la quale mi chiamava il Signore”.
Joseph Ratzinger, quando era prefetto dell’ex Sant’Uffizio, veniva definito Panzerkardinal? Era visto come un watchdog della fede, in un certo qual modo come una personalità intransigente. Era davvero così? E lei si sente tale? “Chi conosce Joseph Ratzinger, e ora attraverso Papa Benedetto XVI lo conosciamo in molti, fa subito esperienza della sua mitezza, umiltà, bontà e affabilità. Nello stesso tempo, i suoi occhi e le sue parole rivelano una intelligenza viva e acuta, e i suoi scritti ci mostrano la sua poderosa cultura. E’ affascinante poter parlare e lavorare con quest’uomo che Dio ha chiamato a guidare oggi la sua chiesa. In questo senso, pur essendo mite egli esprime anche una forza. Il suo pensiero, che nasce da una ragione umile e audace, si impone mediante la forza della sua profondità e acutezza, del suo saper vedere lontano e del suo guardare la realtà in un orizzonte ampio. Non a caso egli ha scelto, come motto della sua missione, l’espressione: cooperatores veritatis, cooperatori della verità. Egli si concepisce al servizio della verità. Joseph Ratzinger è un uomo mite che si esprime con idee forti. C’è una forza umile che emerge nella sua persona e nelle sue parole. E’ la forza della verità, che non ha bisogno di gridare per affermarsi, perché si impone da sé. Prego ogni giorno perché questa sia anche la mia forza”.
Il Foglio sportivo - in corpore sano