Campagna femminile

Tre donne decidono il dibattito. Due tifano Obama, una modera

Tre donne sono sedute intorno al dibattito presidenziale alla Hofstra University di Long Island, il meno stilnovista degli eventi elettorali. Due di queste sono le donne-schermo di Barack Obama, e  in quanto tali offrono al presidente una copertura per velare le sue debolezze; l’altra è la moderatrice del dibattito, Candy Crowley, che ha rifiutato di essere invisibile come “una mosca appoggiata al muro” e da giorni reitera promesse di aggressività e interruzioni quando i candidati si divincolano dalle domande per rintanarsi nella comfort zone dei discorsi precotti.

    New York. Tre donne sono sedute intorno al dibattito presidenziale alla Hofstra University di Long Island, il meno stilnovista degli eventi elettorali. Due di queste sono le donne-schermo di Barack Obama, e  in quanto tali offrono al presidente una copertura per velare le sue debolezze; l’altra è la moderatrice del dibattito, Candy Crowley, che ha rifiutato di essere invisibile come “una mosca appoggiata al muro” e da giorni reitera promesse di aggressività e interruzioni quando i candidati si divincolano dalle domande per rintanarsi nella comfort zone dei discorsi precotti. Nella danza dei personaggi femminili attorno al dibattito, la prima donna, Hillary Clinton, tenta di mettere una porta tagliafuoco per contenere il pasticcio dell’Amministrazione sull’attacco al consolato americano di Bengasi che l’11 settembre ha ucciso l’ambasciatore Chris Stevens e altri tre americani. Quando lunedì sera Clinton dal Perù  ha detto “mi prendo la responsabilità” dell’accaduto e che “il presidente e il vicepresidente non erano adeguatamente informati sulle decisioni specifiche a proposito della sicurezza” ha di fatto scoperchiato l’operazione di scagionamento postumo del presidente.

    L’attacco di Bengasi – un atto terroristico premeditato che nulla aveva a che fare con manifestanti offesi da un video blasfemo che al compound di Bengasi non si sono visti – è diventato la patata bollente lanciata dal dipartimento di stato alla Casa Bianca (che l’attacco fosse l’esito di una protesta sfuggita di mano “non era la nostra conclusione”, si legge in un briefing di Foggy Bottom), respinta poco cortesemente al mittente dal vicepresidente Joe Biden, poi giustificato dal superconsigliere obamiano David Axelrod. Le richieste di aumentare la sicurezza, dice, sono affare del dipartimento di stato e non sono mai arrivate alla Casa Bianca, a questo punto in linea con la condotta di Clinton. C’è una curiosità anche sul tempismo con cui sono uscite le parole di Clinton: mercoledì scorso il segretario ha dato un’intervista a Monica Langley del Wall Street Journal e la cronista ha dichiarato che Hillary aveva fatto l’identica assunzione di responsabilità ripetuta poi lunedì. Non c’erano accordi o vincoli sulla data di pubblicazione, ma il quotidiano ha tenuto in congelatore le dichiarazioni fino a ieri, quando ormai la presa di posizione era nota.

    Nemmeno una fiera avversaria come Hillary poteva lasciare che Obama si presentasse al secondo dibattito presidenziale, dopo che Mitt Romney gliele aveva suonate nel primo round, con il fardello di una tragedia irrisolta che ha acceso lotte intestine nell’Amministrazione e ha cercato, per quel che poteva, di coprire Obama prendendo su di sé la responsabilità. L’altra donna-schermo, l’ambasciatrice presso l’Onu, Susan Rice, ovvero l’araldo della versione della protesta sfuggita di mano, nonché la candidata perfetta alla sostituzione di Hillary in caso di un secondo mandato democratico (ma le sue quotazioni sono crollate da Bengasi in poi, ça va sans dire) ha cercato di coprire l’altra spalla del presidente. Alla riunione del Consiglio di sicurezza dell’Onu sul medio oriente ha detto che Hezbollah è parte integrante della “killing machine” di Bashar el Assad, ha superato a destra la posizione dell’ambasciatore israeliano, Ron Prosor ed è tornata a essere la belligerante Rice che ha convinto (assieme a Samantha Power) l’Amministrazione a intervenire in Libia. In un momento in cui il governo di Obama deve giustificare, con un certo imbarazzo, le sue azioni militari selettive e l’inazione in Siria, l’accelerata di Rice può far comodo a un presidente in crisi di leadership e sotto il torchio dei sondaggi sfavorevoli.

    Una vigilessa per dirigere il traffico
    A differenza del dibattito di Denver, alla Hofstra University ci sono le domande dal pubblico e il sogno bipartisan è che la la moderatrice Candy Crowley si trasformi in una placida vigilessa che dirige il traffico. Mark Halperin del Time ha recuperato qualche giorno fa una copia dell’intesa firmata dai team legali dei duellanti sul modo di amministrare il dibattito: niente follow-up del moderatore sulle domande, niente interruzioni da parte di chi dirige, sono proibite le domande dirette fra un candidato e l’altro o la richiesta, sempre diretta, di promettere qualcosa. Crowley, il personaggio che completa il cast femminile del dibattito, dovrebbe stare nascosta nella buca del suggeritore e da lì dirigere con invisibili indicazioni il confronto, e improvvisamente tutti temono che si spinga più in là, oltre i confini degli accordi vidimati. Lei si scrolla di dosso le pressioni: “Se il pubblico chiede mele e quelli rispondono arance, li interromperò”.