Oltre i saldi contabili

Da Monti a Mediobanca, ora fanno breccia le tesi (poco austere) del Fmi

Stefano Cingolani

Domani e dopodomani il Consiglio europeo metterà al centro il divario di competitività tra i diversi membri della Ue, perché questo, ha detto ieri Angela Merkel, è il cuore della crisi attuale, anche di quella che colpisce l’euro. Dunque, la cancelliera non accoglie l’invito del Fondo monetario internazionale? Piuttosto, trasforma la politica della domanda in politica dell’offerta da parte dei paesi in maggiore difficoltà come Spagna e Italia.

    Roma. Domani e dopodomani il Consiglio europeo metterà al centro il divario di competitività tra i diversi membri della Ue, perché questo, ha detto ieri Angela Merkel, è il cuore della crisi attuale, anche di quella che colpisce l’euro. Dunque, la cancelliera non accoglie l’invito del Fondo monetario internazionale? Piuttosto, trasforma la politica della domanda in politica dell’offerta da parte dei paesi in maggiore difficoltà come Spagna e Italia. A Tokyo, dove si è tenuto l’annuale meeting del Fmi, è stato lanciato un messaggio orientato alla crescita, alla espansione della domanda effettiva (consumi più investimenti) per far aumentare la capacità produttiva e la produttività. Il dibattito aperto da Olivier Blanchard, capo economista, e sostenuto da Christine Lagarde, direttore generale, ruota attorno alla teoria del moltiplicatore, perché gli esperti del Fondo hanno scoperto che gli aggiustamenti fiscali provocano una stretta sull’economia reale nettamente maggiore che in passato. Le analisi sul campo parlano chiaro e l’enfasi si è spostata.

    Le iniezioni di moneta della Fed e quelle (per ora annunciate) della Banca centrale europea, non sono sufficienti. Gli investimenti privati sono fermi perché non migliorano le aspettative. Dunque, qualcuno deve allargare i cordoni della borsa. L’ideale sarebbe che l’impulso partisse da chi ha bilancio pubblico in ordine e bilancia dei pagamenti in attivo. In altri termini, la Germania. A Tokyo la sollecitazione a Berlino è stata netta, confermano tutti gli osservatori. La preoccupazione principale dei mercati, dopo che negli Stati Uniti i consumi di settembre si sono dimostrati più vitali delle attese, è la recessione europea. Se una nuova tempesta è in arrivo, sarà provocata dall’austerità ossessiva dell’Europa. Dunque, domanda interna. Non con nuove spese, ma con meno tasse. In modo diverso per i paesi indebitati come l’Italia. Mario Monti, il cui governo ieri ha approvato tra l’altro un decreto Semplificazioni-bis, se ne è reso conto, e la riduzione dell’Irpef sui redditi bassi è un segnale, sia pur piccolo, in tal senso. Anche se il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, ieri polemizzava : “Non ci sono provvedimenti incisivi per la ripartenza”. 

    E la produttività? In Italia stenta a decollare il confronto sulle nuove regole contrattuali sul quale il governo ha puntato molte carte, sostenuto dalla Confindustria, ostacolato dalla Cgil (ieri pomeriggio Susanna Camusso ha detto: “Siamo molto lontani da un’intesa”). Monti vorrebbe recarsi domani al vertice europeo con qualcosa di concreto, ma la discussione è bloccata sulle deroghe al contratto nazionale.

    Intanto, autorevoli entomologi del sistema produttivo, come gli studiosi di Mediobanca, a cominciare da Fulvio Coltorti che ha costruito l’ufficio studi su mandato di Enrico Cuccia, contestano che il divario tra Italia, Germania e Francia dipenda dalla produttività e mettono in discussione il punto di vista del governo. Il valore aggiunto per occupato nell’industria è migliorato pur con alti e bassi e restando sempre inferiore. E’ peggiorato, invece il fatturato nazionale delle imprese italiane. Dall’inizio del 2010 in poi, le aziende manifatturiere si sono sostenute con il fatturato estero. Segno che sono in grado di competere. Ma c’è una grande differenza tra le grandi e le medio-piccole. Le prime soffrono di più e hanno delocalizzato per recuperare capacità produttiva e ridurre i costi. Per loro la produttività è un problema legato non solo all’utilizzo del fattore lavoro, ma anche all’impiego meno efficiente del capitale. Esattamente il contrario di quel che è accaduto nel quarto capitalismo. Anche dagli economisti di Mediobanca viene la conferma che l’industria di minor dimensione ha preso sulle sue spalle l’economia italiana. Ma da sola non ce la fa. In una fase di recessione, la produttività necessariamente peggiora. Oggi il rimedio, per Coltorti, è una spinta della domanda. Poi, nel medio-lungo periodo produttività fa rima con investimenti.