Rivoluzione liberale
Non c’è bisogno di bocciare il governo tecnico per capire che soltanto un Monti bis, eletto dal popolo, potrebbe lanciare una “rivoluzione liberale”, come quella chiesta dagli economisti Alberto Alesina e Francesco Giavazzi sul Corriere della Sera. Un mandato politico è infatti una condizione necessaria per qualsiasi esecutivo che intenda riformare un sistema economico nel quale alcuni degli attori principali usano gli ostacoli che ne frenano la crescita per proteggere i loro interessi.
Roma. Non c’è bisogno di bocciare il governo tecnico per capire che soltanto un Monti bis, eletto dal popolo, potrebbe lanciare una “rivoluzione liberale”, come quella chiesta dagli economisti Alberto Alesina e Francesco Giavazzi sul Corriere della Sera. Un mandato politico è infatti una condizione necessaria per qualsiasi esecutivo che intenda riformare un sistema economico nel quale alcuni degli attori principali usano gli ostacoli che ne frenano la crescita per proteggere i loro interessi. Lo spiega in un colloquio con il Foglio Bill Emmott, ex direttore del settimanale inglese Economist che sotto la sua guida, dal 1993 al 2006, ha raddoppiato le vendite globali.
“Sul fronte delle politiche per la crescita un governo tecnico non può fare più di tanto”, spiega Emmott, “penso che questo sia un tema da porre a un governo eletto perché quello che viene richiesto è una vera e diffusa riforma fatta di liberalizzazioni e rimozione degli ostacoli alla crescita come, ad esempio, una stretta regolamentazione dei settori economici, i monopoli, i cartelli, un sistema giudiziario di certo malfunzionante e una mancanza di competizione in molti comparti, specialmente in quello dei servizi”. “Questo richiede un chiaro e formale mandato politico – osserva Emmott – perché ogni gruppo di interesse trae beneficio dal mantenimento di alcuni di questi ostacoli al fine di averne, in un certo senso, una protezione”.
Monti aspirerebbe “da vero liberale” a fare una rivoluzione di questo tipo sul modello del presidente Luigi Einaudi: “Credo che sia un suo sogno emularne le gesta”, dice Emmott, “eppure gli ostacoli politici sono molto stringenti, per questo motivo aspetto il 2013 e spero in un governo riformatore”. Anche se ora la maggioranza parlamentare e i partiti sono “liquidi” a cinque mesi dal voto la situazione è ancora “molto variabile”. “Forse sotto un Monti bis, se tornasse al governo dopo essere eletto dal popolo, o sotto un altro leader riformatore, chiunque sarà, potremmo vedere qualcosa di simile a una specie di rivoluzione, ammesso che il clima di profonda crisi e recessione cambi la mentalità della politica”. E’ anche un’esigenza economica.
Mentre i partiti politici, di destra e di sinistra, chiederanno in Parlamento delle modifiche alla legge di stabilità approvata dal governo, la Banca d’Italia, nel suo bollettino trimestrale pubblicato ieri, ha avvertito che “resta prioritaria e cruciale l’attuazione delle riforme strutturali e delle misure già adottate” per sostenere “l’ampio processo di riforma in corso, volto a riportare l’Italia in un sentiero di crescita sostenuta”. In base alle indicazioni della Banca d’Italia il pil rimarrà infatti negativo alla fine 2013 e solo negli ultimi mesi del prossimo anno sarà possibile la fine della recessione.
Per Emmott, autore del libro “Forza, Italia: come ripartire dopo Berlusconi” (Rizzoli), “Monti ha fatto un buon lavoro nello stabilizzare le finanze pubbliche ma la verità è che la situazione economica peggiora, soprattutto nel settore dei servizi che pesa per il 75 per cento dell’economia nazionale e, sebbene sia necessario, tenere i conti in ordine non è sufficiente per salvare l’Italia”.
La crescita è un fattore che al paese manca da almeno vent’anni. “Il vero problema non è il debito”, aggiunge Emmott, “che è di fatto la conseguenza di una cronica mancanza di crescita, criticità che non è mai stata risolta ma dev’essere affrontata in fretta”.
Mentre in Europa è la Spagna il primo paese che potrebbe richiedere l’aiuto congiunto del Fondo salva stati permanente (Esm) e della Banca centrale europea (Bce) per acquistare in tandem bond in asta, nel primo caso, e sul mercato secondario nel secondo, anche l’Italia, secondo Emmott, “dovrebbe farlo”. Almeno in “termini economici” perché “in termini politici, viste le elezioni generali in arrivo, è molto difficile metterlo in pratica”. Resta il fatto che l’intervento della Bce, nelle intenzioni del presidente Mario Draghi, mira a ridurre il costo di indebitamento per le aziende dei paesi mediterranei, molto più elevato rispetto a quelle dei paesi nordici. “Questo per l’Italia è uno dei problemi più significativi, per questo penso che la richiesta di aiuto sia un bene”, nota Emmott. Più in generale la risoluzione della crisi del debito è messa in discussione dalla presa di posizione “dogmatica” da parte della Germania e dei paesi nordici che vorrebbero diffondere in maniera uniforme l’austerità fiscale: “E’ una tendenza suicida – afferma Emmott – perché sebbene sia necessario tenere i conti pubblici sotto stretto controllo in paesi come Spagna, Italia e Grecia viceversa è completamente sbagliato per i paesi nordeuropei”. Emmott descrive il quadro di un’Europa bipolare, spaccata sul versante della capacità di crescita, ma unita dalla morsa del rigore.
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