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La guerra dei sondaggi nella corsa alla Casa Bianca

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Quando manca un solo dibattito – sulla politica estera – tra i due candidati alla presidenza (lunedì 22 a Boca Raton, Florida), l’attenzione di chi vuole capire come andrà la corsa per la Casa Bianca è tutta concentrata sui sondaggi. Ogni giorno, gli istituti ne pubblicano a decine: rilevazioni quotidiane sul dato nazionale (che conta, ma fino a un certo punto, visto che a decidere sarà il numero di grandi elettori conquistati in ogni singolo stato) e focus diretti sui cosiddetti battleground states, la manciata di stati incerti che democratici e repubblicani si contendono.

    Quando manca un solo dibattito – sulla politica estera – tra i due candidati alla presidenza (lunedì 22 a Boca Raton, Florida), l’attenzione di chi vuole capire come andrà la corsa per la Casa Bianca è tutta concentrata sui sondaggi. Ogni giorno, gli istituti ne pubblicano a decine: rilevazioni quotidiane sul dato nazionale (che conta, ma fino a un certo punto, visto che a decidere sarà il numero di grandi elettori conquistati in ogni singolo stato) e focus diretti sui cosiddetti battleground states, la manciata di stati incerti che democratici e repubblicani si contendono.

    Ma chi si nasconde dietro quelle sigle, istituti e centri di ricerca che tentano di anticipare come finiranno le elezioni? Chi è più autorevole e credibile?

    La più nota organizzazione che si occupa di sondaggi è Gallup, dal nome del fondatore George Gallup che nel 1936 riuscì per primo a prevedere il corretto risultato delle elezioni presidenziali con “solo” 50 mila interviste. Il giovane ricercatore di statistica e marketing sfidò l’autorevolezza della Literary Digest, che dal 1920 aveva correttamente previsto vincitori e vinti della corsa alla Casa Bianca inviando circa 10 milioni di cartoline nelle case degli americani. Gallup sosteneva invece che era possibile sondare le intenzioni di voto con un campione molto più ristretto, suscitando l’ilarità di Literary Digest. A poche settimane dalle elezioni di quell’anno, la rivista diede la vittoria al repubblicano Alfred Landon con il 57 per cento dei voti, mentre per Gallup avrebbe vinto Franklin Delano Roosevelt con il 61 per cento. Due anni dopo Literary Digest chiuse.

    Fu però l’errata previsione del 1948 a far diventare nota nel mondo la società Gallup, quando in base alle rilevazioni terminate molte settimane prima del voto, assegnò la vittoria al repubblicano Thomas Dewey. Celebre è la prima pagina del Chicago Daily Tribune con il titolo “Dewey defeats Truman”.

    Giovedì Gallup, nella sua consueta rilevazione quotidiana nazionale, ha dato a Mitt Romney un vantaggio di 7 punti, molto più alto rispetto a quanto riportato dagli altri sondaggi http://www.gallup.com/poll/election.aspx . Esperti statistici e di flussi elettorali sono perplessi: Nathan Silver sul New York Times suggerisce di prendere con le molle il daily tracking di Gallup (nelle ultime tornate elettorali indovina la tendenza ma quasi mai il distacco finale tra i candidati), Larry Sabato su Twitter ne contesta la metodologia usata per indagare le intenzioni di voto.
     
    Il più accurato tra tutti sembra essere Rasmussen. Fondato nel 2003 da Scott Rasmussen, accusato di essere filorepubblicano, detestato da Nathan Silver, spesso ha azzeccato i risultati elettorali con un margine d’errore ridotto. Non immune da errori grossolani – la vittoria di Sharron Angle del Tea Party in Nevada data per certa nel 2010 è il più recente – si è conquistato spazio e fama.

    Fare sondaggi e previsioni sulle elezioni è difficile in ogni parte del Mondo, ma negli Stati Uniti forse di più. L’elettorato è mobile, i campioni non sempre sono rappresentativi, e non c’è da stupirsi se sbagliano anche le proiezioni (sono nella storia gli exit poll sulla sfida Bush-Gore diffusi alla chiusura dei seggi nel 2000).

    A poco più di due settimane dal voto, la media dei sondaggi calcolata da Real Clear Politics dà Obama e Romney in pareggio (lievissimo vantaggio del repubblicano ma entro il margine d’errore). Negli stati decisivi, però, il candidato democratico mantiene un discreto vantaggio, soprattutto in Ohio, Nevada e Wisconsin. L’ex governatore del Massachusetts, invece, è dato in testa in Florida, North Carolina e Colorado.