Autobomba a Beirut, 8 morti

Operazione sporca per uccidere il nemico di Assad in Libano

Susan Dabbous

Un attentato terribile per uccidere un solo uomo: Wissam al Hassan, il vero bersaglio dell’autobomba che ieri pomeriggio ha ritrascinato Beirut nell’incubo della guerra civile. E’ stato eliminato perché era il capo dei servizi dell’informazione della polizia libanese. Un uomo scomodo, vicino a Saad Hariri, figlio dell’ex premier antisiriano Rafiq Hariri, a sua volta eliminato con un attentato il 14 febbraio del 2005.

    Beirut, quartiere di Achrafieh. Un attentato terribile per uccidere un solo uomo: Wissam al Hassan, il vero bersaglio dell’autobomba che ieri pomeriggio ha ritrascinato Beirut nell’incubo della guerra civile. E’ stato eliminato perché era il capo dei servizi dell’informazione della polizia libanese. Un uomo scomodo, vicino a Saad Hariri, figlio dell’ex premier antisiriano Rafiq Hariri, a sua volta eliminato con un attentato il 14 febbraio del 2005. Hassan aveva diretto le indagini che lo scorso agosto condussero all’arresto di Michel Samaha, ex ministro dell’Informazione, vicino al regime siriano. Samaha, che si trova in carcere, avrebbe ordito un complotto per eliminare una serie di personalità politiche e religiose libanesi scomode a Damasco. Il suo computer è ancora in mano agli uomini di Hassan, e conterrebbe prove contro il regime di Damasco.

    Vista la dinamica dell’attentato, i suoi assassini lo conoscevano bene. Hanno atteso che il loro bersaglio tornasse dall’estero (è atterrato ieri all’aeroporto) e si recasse in incognito su una macchina civile a un incontro nella Beirut cristiana, benestante e francofona, per lanciare un messaggio all’occidente: la caduta di Bashar riporterà la guerra in Libano. L’autobomba è esplosa alle tre del pomeriggio nella strada Ibrahim Mumzer, dietro all’affollata piazza Sassine di Achrafieh, con lui sono morte almeno altre sette persone. Alle spalle della piazza di grattacieli, banche e centri commerciali di lusso, ci sono ancora strade popolari dove vivono sunniti e cristiani maroniti, ortodossi e cattolici. Joseph Zaidan è sunnita: “Ho visto andare e tornare la guerra civile, le falangi cristiane e i terroristi.

    "Tutti sappiamo che sono stati i siriani di Assad”, dice al Foglio. Mentre parla, la moglie raccoglie con la scopa i pezzi della vetrina della tintoria andata in frantumi. Joseph ha un taglio profondo sul naso, ma non vuole andare nel vicino Hotel de Dieu, moderna clinica francese dove sono ricoverati più di settanta feriti. La corsia è occupata da persone in gravi condizioni, che arrivano senza sosta.
    Balconi, finestre, condizionatori, tutto ciò che occupava la superficie esterna dei palazzi è andato in frantumi. Lo spostamento d’aria dovuto ai 30 chili di esplosivo, dentro l’autobomba, ha trasformato i pezzi di vetro in proiettili. I feriti hanno schegge ovunque: sulla testa, sulle braccia, sulle gambe e anche dentro gli occhi. E mentre la calma torna lentamente ad Achrafieh, dopo il tramonto si infiamma la città di Tripoli, nel nord, dove sono ripresi gli scontri a fuoco tra il quartiere alawita filo Assad (di Jabal Mohsen) e quello confinante sunnita di Bab Tabbane.