Se non ora, quando?
Alfano scalda i muscoli per salvare il Pdl dal destino “bad company”
“Non mi sembra che Daniela Santanchè sia la sorella di Renzi”, dichiarava ieri Beatrice Lorenzin. Battuta a denti stretti, ma che rende al meglio il pensiero dominante in quella parte del Pdl che per ragioni varie – dal male minore alla speranza, dall’azzardo alla convinzione – si stringe intorno al segretario Angelino Alfano. Guai a consegnare il blasone della rottamatrice al falco dei falchi, che dichiara (al Foglio, giovedì scorso) di preferire la plastica come materiale per costruire sogni e partiti.
Roma. “Non mi sembra che Daniela Santanchè sia la sorella di Renzi”, dichiarava ieri Beatrice Lorenzin. Battuta a denti stretti, ma che rende al meglio il pensiero dominante in quella parte del Pdl che per ragioni varie – dal male minore alla speranza, dall’azzardo alla convinzione – si stringe intorno al segretario Angelino Alfano. Guai a consegnare il blasone della rottamatrice al falco dei falchi, che dichiara (al Foglio, giovedì scorso) di preferire la plastica come materiale per costruire sogni e partiti. Nel Pdl a un passo dall’implosione, in rivolta contro la furia distruttrice (o il cupio dissolvi, a seconda) della Santanchè è ormai matura la convinzione che se un rottamatore è davvero necessario, questo debba essere proprio Angelino Alfano. E senza perdere tempo. Non fosse già protetto da svariati copyright anche il Pdl insomma vorrebbe il logo “Adesso”.
“Il clima è da stato di emergenza”, ammette Osvaldo Napoli. “Non si può andare avanti così… e prima gli ex An, poi la Santanchè, e Formigoni… qui il partito non regge più”. Chi ha parlato con il segretario nelle ultime ore testimonia che questa volta sì, questa volta Alfano è davvero pronto a un gesto, se non a un moto, di “indipendenza”. Uno “strappetto” se non uno strappo. “Un atto di discontinuità e rinnovamento del partito” dicono in molti, secondo il formulario classico della reticenza, dettata in questo caso da una constatazione diffusa che suona più o meno così: “Siamo in un frullatore”. Il fatto è che malgrado Paolo Guzzanti giuri che una cosa è l’iconoclastia della Santanchè e un’altra la linea autentica del Cav., malgrado lo stesso Cav. abbia rimarcato di non aver fatto dichiarazioni nelle ultime ore, nessuno dubita che l’anima più radicale e nostalgica del ’94 sia la voce di una delle opzioni tattiche di Berlusconi: costituire una good company con innesti di società civile, facce giovani, fedelissimi che non abbiano superato il tetto dei tre mandati. E lasciare al Pdl dei Cicchitto e dei Gasparri, dei La Russa, la bad company. Per questo il fattore tempo è diventato cruciale, e su Alfano monta un pressing per una volta unificante ancorchè un poco scomposto.
“Berlusconi vuole per sé la good company? La faccia. Lui, la Santanchè e la Biancofiore prenderebbero il 6 per cento” ribatte una combattiva parlamentare del Pdl. Ma non è affatto chiaro, almeno per adesso, quale sia l’elemento costitutivo dello “strappetto”. In molti dicono che la mossa vincente sono le primarie. Ma una cosa è proporle a Berlusconi, o ipotizzarle nel caso in cui il leader si faccia davvero da parte, un’altra è passare all’azione e indirle. Senza trincerarsi dietro le incognite della legge elettorale. Le primarie per la scelta non solo i candidati di Lombardia o Lazio, ma per eleggere il candidato premier avrebbero peraltro il vantaggio di uno spostamento dell’attenzione sugli aspetti programmatici, fin qui pressoché inesistenti. “E’ quello che Alfano sta facendo, ha dato alcuni colpetti oggi da Palermo”, sottolineava speranzoso un dirigente di spicco che preferisce, dato il clima, non essere citato: “Ha detto che non si può essere contro l’Europa, che non si danno spallate al governo Monti e ha buttato là anche rimandi alla questione morale” aggiunge. Ma sono al vaglio anche altre possibilità: per esempio “la costituzione di una squadra”, spiega un altro esponente di peso del Pdl. Come dire non può essere solo Berlusconi a giocare la carta del rinnovamento. Tutto da vedere, e da decidere dopo le elezioni siciliane, nella speranza che chiariscano le mosse successive dell’area moderata: leggi Casini, ma anche Italia Futura. Secondo questo scenario, la presunta bad company, mollata dal Cav., potrebbe avere maggiore spazio di manovra con i centristi. E’ qui si muove Alfano, tentando di recuperare il “quid” che magari, diversamente dal coraggio manzoniano, uno alla fine se lo può anche dare. L’anagrafe in questo caso è un piccolo aiuto, insieme al passo d’addio di Veltroni e D’Alema, destinato a sbattere la questione generazionale anche sul centrodestra.
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