Disastro Bengasi
E’ il New York Times, il giornalone che tifa apertamente per la rielezione di Barack Obama, a servire un colpo micidiale contro il presidente, a soli quattro giorni dal terzo e ultimo debate contro lo sfidante repubblicano Mitt Romney a Boca Raton, in Florida. Dall’11 settembre, da quando un gruppo armato ha attaccato il consolato americano di Bengasi e ha ucciso l’ambasciatore Christopher Stevens e altri tre americani, l’Amministrazione lotta per mostrarsi all’altezza della crisi inaspettata.
Roma. E’ il New York Times, il giornalone che tifa apertamente per la rielezione di Barack Obama, a servire un colpo micidiale contro il presidente, a soli quattro giorni dal terzo e ultimo debate contro lo sfidante repubblicano Mitt Romney a Boca Raton, in Florida. Dall’11 settembre, da quando un gruppo armato ha attaccato il consolato americano di Bengasi e ha ucciso l’ambasciatore Christopher Stevens e altri tre americani, l’Amministrazione lotta per mostrarsi all’altezza della crisi inaspettata. Il presidente ha promesso giustizia con un discorso duro nel giardino delle rose della Casa Bianca e sui giornali americani s’inseguono voci sullo spiegamento di forze speciali e di droni americani in Libia. Due giorni fa è stato fatto arrivare alla stampa anche il nome dell’indiziato numero uno per l’attacco, Ahmed Abu Khattala, che ora, è stato scritto, “è in fuga nel sud o nell’est del paese, o forse è persino già all’estero”.
Invece Abu Khattala non si è mai mosso e ieri era in un hotel di lusso di Bengasi, in fez rosso e sandali, dove – scrive l’inviato incredulo del New York Times, David Kirkpatrick – sta al bancone del bar e beve frappè alla fragola, anche se aveva chiesto succo di mango. L’intervista è surreale: Khattala dice di non far parte di al Qaida ma di sentirsi vicino alle posizioni del gruppo terrorista, per il suo fervore islamico, sostiene che l’America se li cerca, gli attacchi e gli attentati, con la sua politica estera aggressiva e cerca di convertire Kirkpatrick all’islam. Il debate di lunedì è sulla politica estera e l’intervista all’insolente Khattala potrebbe essere la mazza di ferro che cade inattesa nelle mani di Romney.
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