La moda delle Anime morte
Buonasera. Grazie che mi avete invitato a parlare di questo argomento, la moda, che è un argomento che io, devo dire, non ne so niente. E vi ringrazio sinceramente perché a me piace molto, occuparmi di cose delle quali non so niente, e del resto è la cosa che faccio più di frequente; oggi poi, dovendo parlare della moda nella letteratura russa dell’Ottocento, io ho la fortuna non solo di potere trattare un argomento del quale non so niente, ma due, perché, anche se ho studiato russo, che ho studiato russo, io, se mi guardo nel profondo, e mi chiedo di dare una risposta sincera a questa domanda “Ma te, cosa sai della letteratura russa dell’Ottocento?”
Buonasera. Grazie che mi avete invitato a parlare di questo argomento, la moda, che è un argomento che io, devo dire, non ne so niente.
E vi ringrazio sinceramente perché a me piace molto, occuparmi di cose delle quali non so niente, e del resto è la cosa che faccio più di frequente; oggi poi, dovendo parlare della moda nella letteratura russa dell’Ottocento, io ho la fortuna non solo di potere trattare un argomento del quale non so niente, ma due, perché, anche se ho studiato russo, che ho studiato russo, io, se mi guardo nel profondo, e mi chiedo di dare una risposta sincera a questa domanda “Ma te, cosa sai della letteratura russa dell’Ottocento?”, io, se devo rispondere sinceramente, la risposta che dovrei dare sarebbe: “Niente”.
Che uno potrebbe pensare “Sei laureato in russo, ne avrai letti, dei libri russi dell’Ottocento”, certo, son laureato in russo, ne ho letti, dei libri russi dell’Ottocento, vuoi che non li abbia letti?
Solo che, aver letto dei libri russi dell’ottocento e sapere cosa significano, son due cose completamente diverse, secondo me, che i libri, secondo me, e anche secondo degli altri, quel che significano, non si capisce, e anche se si capisse, non vorrebbe dir niente, che come dice Viktor Sklovskij, studiare la letteratura concentrandosi sul significato, dei libri, sarebbe come studiare la matematica concentrandosi sul risultato del libro degli esercizi.
Esercizio uno: 1.237; esercizio due: un’ora e un quarto; esercizio tre: 12 pecore; esercizio quattro: sette undicesimi; esercizio cinque: 555.103.
Non è che l’esercizio cinque è il più importante perché il suo risultato è 555.103, no, dice Sklovskij, e lo dico anch’io, se così si può dire.
Quindi, per così dire, se una cosa come la letteratura russa dell’Ottocento non si sa cosa significa, come si fa a dire che la si conosce, non si può, no?
Anche se, bisogna dire, non è che la letteratura, non solo russa, ma anche mondiale, adesso il fatto che non significa niente, la letteratura mondiale, non è che la depotenzia, no, è potente lo stesso, mi vien da pensare, e potrei fare anche un esempio, secondo me, di questa potenza anche se, prima, siccome son già tre minuti che parlo non ho parlato ancora di moda, vorrei parlare anche di moda, siamo in una manifestazione che si chiama “Voce del verbo moda”, devo parlare anche di moda, solo che non mi viene, di parlare di moda, perché io, come ho detto, non ne so niente né di moda né di letteratura russa dell’Ottocento, però, se mi chiedete di parlare di una delle due cose, io sarei più portato a parlare di letteratura russa dell’Ottocento, che di moda, proprio, non saprei da dove cominciare, che non ho il lessico, non ho l’abitudine, io nei negozi di abbigliamento, per esempio, ho cominciato a andarci in questi ultimi anni che li hanno un po’ organizzati come dei supermercati, ma prima, quando c’erano i commessi che ti dicevano “Desidera?”, e che ti davano i consigli, e che quando poi ti provavi le robe venivano dietro le tue spalle a dirti se ti stavano bene o non ti stavano bene, no no no no no, io non ci andavo, io le cose, mi mettevo piuttosto le cose smesse dai miei due fratelli e da mio babbo, quando abitavamo insieme, adesso vivo da solo, son costretto ad andarci, nei negozi alla moda, per fortuna adesso li hanno organizzati in quel modo lì che son come dei supermercati però insomma la moda, bisogna che dica qualcosa, e se devo pensare al pezzo, nella letteratura russa dell’Ottocento che ho letto io, che è quello che più di ogni altro pezzo parla di moda, ecco questo pezzo, per me, è nel capitolo nove delle “Anime morte”, di Gogol’, son due paginette dove si racconta di due signore della città di N che Gogol’ all’inizio non sa bene come chiamarle.
Per l’autore – scrive – è cosa molto complicata, la scelta di come chiamare entrambe queste signore in modo che non si arrabbino ancora con lui, come già gli è successo una volta. Per quanti nomi possa escogitare, si troverà immancabilmente in qualche angolo del nostro impero, che è bello grande, qualcuno che ha questo nome e che si arrabbierà immancabilmente e non per burla, ma seriamente si metterà a dire che l’autore era venuto apposta in segreto per scoprire che tipo era, e con che peliccette andava in giro, e a che Agrafena Ivanovna andava a far visita, e cosa gli piaceva mangiare. Chiamarle solo con il grado, apriti cielo, è ancora più pericoloso. Adesso da noi tutti i gradi e i ceti sociali sono così suscettibili che tutto quello che appare in un libro stampato sembra cosa che li riguardi personalmente; è questa, ormai, evidentemente, l’aria che tira. E’ sufficiente dire che in una città c’è un uomo stupido, è già un’allusione personale; d’un tratto salta fuori un signore d’aspetto rispettabile e si mette a gridare: “Sono poi un uomo anch’io, di conseguenza sarei anch’io stupido!”. In una parola, ha capito al volo qual è la faccenda. E pertanto, per evitare tutto ciò, chiameremo la signora dalla quale è arrivata l’ospite così come la si chiamava quasi unanimemente nella città di N, vale a dire: signora piacevole da tutti i punti di vista. Ella si era conquistata questo titolo in modo legittimo, anche se, a dire il vero, non rinunciava a niente, per rendersi amabile al massimo grado, benché, naturalmente, attraverso l’amabilità si insinuasse un’indomabile spontaneità di spirito femminile che bisognava vederla! E benché a volte dietro ogni parola piacevole saltassero fuori di quegli spilli appuntiti! E Dio ci salvi da quel che le bolliva nel cuore contro quella che fosse riuscita a primeggiare in qualche modo in qualcosa! Ma tutto ciò era coperto dalla più fine mondanità, quella che esiste solo nelle città capoluogo di governatorato. Ogni momento veniva da lei prodotto con gusto, le piacevano anche le poesie, era anche capace, a volte, di disporre la testa in modo sognante, e tutti erano d’accordo sul fatto che lei, veramente, era una signora piacevole da tutti i punti di vista. L’altra signora, vale a dire quella che era arrivata, non era tanto poliedrica, di carattere, e perciò la chiameremo: signora semplicemente piacevole. (…)
“Qui, qui, ecco, in questo angolino, – diceva la padrona di casa, facendo sedere l’ospite in un angolo del divano. – Ecco, così, ecco così, ecco le do anche un cuscino”. Dopo aver detto ciò, le cacciò dietro la schiena un cuscino sul quale era ricamato in lana un cavaliere nel modo in cui sempre li ricamano sui canovacci: il naso che sembrava una scala, e le labbra rettangolari. “Ma come sono contenta, che lei… Sento che è arrivato qualcuno, e penso, tra me, chi può essere, così presto? Parasa dice: ‘La vice governatrice’, e io dico: ‘ecco, è venuta ancora quella stupida ad annoiarmi’, e già volevo dire che non ero in casa…”.
L’ospite già voleva venire al sodo e comunicare la notizia. Ma un’esclamazione emessa dalla signora piacevole da tutti i punti di vista, diede d’un tratto un altro indirizzo alla conversazione.
– Che festoso, quel calicò – esclamò la signora piacevole da tutti i punti di vista guardando il vestito della signora semplicemente piacevole.
– Sì, molto festoso. Praskov’ja Fëdorovna, però, trova che sarebbe meglio se i quadretti fossero più fitti, e se le macchioline non fossero marroni, ma azzurre. A mia sorella sì che hanno mandato una stoffetta: un incanto tale, che non si può semplicemente dire; si immagini: delle striscette sottili sottili, le più sottili che si possa figurare l’umana immaginazione, un fondo azzurro e tra le strisce occhietti e zampette, occhietti e zampette, occhietti e zampette… In una parola, impagabile. Si può proprio dire che non c’è niente di uguale, al mondo.
– Cara, è variopinto.
– Ah, no, non è variopinto.
– Ah, variopinto.
Bisogna notare che la signora piacevole da tutti i punti di vista era in parte materialista, portata alla contraddizione e al dubbio e non ammetteva moltissime cose, al mondo.
Qui la signora semplicemente piacevole spiegò che non era per nulla variopinto, e disse, in un grido:
– Sì, e complimenti: le balze non si portano più.
– Come non si portano?
– Al loro posto festoncini.
– Ah, non è bello, festoncini.
– Festoncini, sempre festoncini: la pellegrina di festoncini, sui guanti festoncini, spalline di festoncini, in basso festoncini, dappertutto festoncini.
– Non è bello, Sof’ja Ivanovna, se son sempre festoncini.
– E’ carino, Anna Grigor’evna, fino all’inverosimile: si cuciono con due orli: apertura delle maniche bella larga, e sopra… Ma ecco, ecco di cosa si meraviglierà, ecco che dopo dirà che… Be’, si meravigli: si immagini, i corpetti vanno ancora più lunghi, con una protuberanza, e la stecca davanti va oltre ogni limite, la giubba si raccoglie tutta intorno, come succedeva in passato con le faldiglie, di dietro ci si mette anche un po’ di ovatta, perché sia del tutto belle femme.
– Be’, questo poi, francamente! – disse la signora piacevole da tutti i punti di vista facendo col capo un movimento pieno di dignità.
– Proprio, questo, davvero, francamente… – rispose la signora semplicemente piacevole.
– Dica pure quel che vuole, io non mi metto a imitarle, delle cose del genere.
– Neanch’io. Veramente, non se lo immagini, fin dove si spinge delle volte la moda: una cosa dell’altro mondo. Ho chiesto a mia sorella un cartamodello, apposta, per ridere; la mia Melan’ja si è messa a ricamare.
– Davvero lei ha un cartamodello? – esclamò in un grido la signora piacevole da tutti i punti di vista non senza un evidente moto del cuore.
– Come no, me l’ha mandato mio sorella.
– Anima mia, me lo dia, in nome di quel che c’è di più sacro.
– Ah, ho già dato la parola Praskov’ja Fëdorovna. Magari dopo di lei.
– E chi volete che lo porti, dopo Praskov’ja Fëdorovna? Sarebbe una cosa molto strana, da parte sua, privilegiare gli estranei in luogo degli intimi.
– Ma lei mi è zia di secondo grado.
– Dio sa che razza di zia è per lei: dalla parte del marito… No, Sof’ja Ivanovna, non voglio sentire niente, questo è troppo; lei mi vuole infliggere questa ferita… Evidentemente, le sono venuta già a noia, è chiaro che lei vuole mettere fine alla nostra conoscenza.
La povera Sof’ja Ivanovna non sapeva proprio cosa fare. Sentiva essa stessa, in che razza di condizione s’era messa. Vai a fare la vanagloriosa. Avrebbe voluto trafiggere con degli spilli la sua stupida lingua, per quel che aveva fatto.
Ecco. Qui dentro, già, mi sembra, c’è tutto. O quasi tutto.
Dopo poi io, non so cos’è un festoncino, devo dire, e neanche una pellegrina, a dire il vero, però voi, mi immagino, che siete un pubblico, se mi permettete, selezionato, avete capito meglio di me che invece, purtroppo, capisco poco, che era una cosa, del resto, che avevo anche detto, quindi voi, che siete un pubblico, se mi permettete, intelligente, non avevate neanche delle grandi aspettative, e questo è un bene, perché sulla moda, io, veramente, in questo discorso, di cose interessanti ne dirò poche, credo, l’unica cosa che mi sembra di poter dire della moda nei romanzi russi dell’Ottocento è che cos’è il vestito alla tedesca, vi sarà capitato di leggere, in un romanzo russo dell’Ottocento, che c’erano dei vestiti alla tedesca, ecco io so cosa sono, i vestiti alla tedesca, credo, e adesso lo dico, ma prima volevo finire il discorso che avevo cominciato che dicevo che davo una dimostrazione della potenza della letteratura e, come dimostrazione, mi è venuta in mente una cosa che non c’entra con la moda, e riguarda un signore che la moda, secondo me, la cosa più di moda che s’è messo dev’essere un tabarro, secondo me, adesso un po’ esagero ma mica tanto e quel signore lì, che è uno dei cineasti italiani più conosciuti al mondo, e che, a proposito della potenza della letteratura ha scritto, tra le altre cose, una dimostrazione dell’esistenza di Dio, (in una poesia intitolata “Dio” che dice: “Dio c’è, / se c’è la figa c’è. / Solo lui poteva studiare una cosa così, e sta in mano come una passerottina, / piace a tutti a tutti, / in cielo in mare in terra, / quella di una vacca, / quella di una regina, / appena la tocchi cambiamo faccia, / ci pensiamo anche se non ci si pensa, / fa anche dei miracoli, / un muto per invocarla gli è tornata la voce, / un altro inginocchiato un’ora davanti la baciava / e diceva delle parole in aramaico, / fino a quando ci si è addormentato sopra come un bambino”), quel signore lì, dicevo, che è nato nel 1902 che è stato, tra le altre cose, l’inventore dell’audiolibro (nel 1970 è uscito il suo “Non libro più disco”), quel signore lì che ha fatto sì che il suo paese, Luzzara, in provincia di Reggio Emilia, diventasse il principale centro italiano dell’arte naif, che c’eran dei suoi concittadini che quando lo vedevano gli veniva da piangere perché, convincendoli a dipingere, gli aveva cambiato la vita, quel signore lì, nel 1960, ha comperato la casa dove è nato, nel centro di Luzzara, e il caffè che c’era sotto, il caffè dei suoi genitori, il caffè Zavattini, che erano caffettieri, gli Zavattini, e Cesare, Zavattini, di sé diceva di avere la sindrome del caffettiere, che quando qualcuno ordinava, lui arrivava e gli portava il caffè, e dopo averla comprata, quella casa, ha scritto, nei suoi diari il 7 marzo del 1960 “Sono andato a Luzzara per via della mia casa natale che ho comperato e così sono felice. Non ho comperato che dei ricordi molto tristi, angosciosi, ma siamo fatti così, e sono felice, ripeto, di questa grande malinconia”.
Ecco adesso, quella casa lì, notizia dell’altro giorno, l’hanno venduta a dei privati e nella casa di Zavattini ci faranno una farmacia e degli appartamenti di pregio: addio casa di Zavattini, addio caffè Zavattini, addio ricordi molto tristi, angosciosi, e felici. E allora la cosa della potenza della letteratura io forse mi sbaglio, ma io credo che Zavattini, secondo me, ha una potenza che se c’è una giustizia, a questo mondo, quando lo leggeranno i nostri nipoti saranno stupefatti, e questa stupefazione determinerà il fatto che i nostri nipoti ricompreranno quella casa lì, e il caffè, e ci faranno un museo Zavattini, ricostruendo per finta le cose che fino a pochi anni fa c’erano per davvero, quei ricordi molto tristi, angosciosi, quella grande malinconia, e rimetteranno delle librerie come quelle c’erano ai tempi di Zavattini, e i lampadari come quelli dei tempi di Zavattini, e i mobili, e i letti, e rifaranno il caffè com’era ai tempi di Zavattini e dei loro nonni, cioè di noi, se c’è una giustizia, a questo mondo, i nostri nipoti penseranno che eravam dei coglioni, a non tenere da conto delle cose così, mi è venuto da pensare questa settimana a proposito della potenza della letteratura e intanto che lo pensavo mi è venuta in mente la faccia da marziano che aveva Zavattini quando nel suo film “La libertààà” si affacciava al balcone e diceva “Italianiiiii… teste di cazzo”, e secondo me aveva ragione, e scusate se parlo di queste cose ma son cose che a me mi sembra che mi dicano come siam messi, qual è la moda non nel campo degli abiti, delle finanziere, dei festoncini, delle pellegrine, nel campo del pensiero, se così si può dire.
“Cappotti, finanziere, biancheria, vestitini a righe”. Discorso sulla moda nella letteratura russa dell’800 pronunciato a Torino al Circolo dei lettori, il 20 ottobre 2012 nell’ambito della manifestazione “Voce del verbo moda”.
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