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Elezioni americane: deciderà tutto la politica estera?

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Stasera (stanotte ore 3.00 in Italia) alla Lynn University di Boca Raton, in Florida, andrà in scena l’ultimo dibattito tra Barack Obama e Mitt Romney prima della lunga notte elettorale del 6 novembre. Il confronto sarà moderato dal conduttore di Face the Nation (l’intervista politica domenicale sulla Cbs), Bob Schieffer e sarà concentrato sulla politica estera. Romney giocherà su un campo in cui fino a ora non è riuscito a convincere l’elettorato: nonostante l’assalto al consolato americano di Bengasi in cui sono morti tre funzionari di Washington e l’ambasciatore Christopher Stevens, il giudizio sull’operato del presidente rimane alto.

    Stasera (stanotte ore 3.00 in Italia) alla Lynn University di Boca Raton, in Florida, andrà in scena l’ultimo dibattito tra Barack Obama e Mitt Romney prima della lunga notte elettorale del 6 novembre. Il confronto sarà moderato dal conduttore di Face the Nation (l’intervista politica domenicale sulla Cbs), Bob Schieffer e sarà concentrato sulla politica estera.

    Romney giocherà su un campo in cui fino a ora non è riuscito a convincere l’elettorato: nonostante l’assalto al consolato americano di Bengasi in cui sono morti tre funzionari di Washington e l’ambasciatore Christopher Stevens, il giudizio sull’operato del presidente rimane alto. Il candidato repubblicano è più forte sull’economia, i sondaggi lo dimostrano, ma ciò non sembra scoraggiare i suoi più stretti consiglieri: “Credo che gli americani si preoccupino della reputazione dell’America nel mondo e quindi sono sicuro che capiranno e si renderanno conto che la reputazione degli Stati Uniti nel mondo in questi quattro anni è stata danneggiata”, dice il Policy director della campagna di Romney, Lanhee Chen.

    Dopo lo scivolone sull’assalto al consolato di Bengasi, l’ex governatore del Massachusetts è pronto a tornare sull’argomento questa sera, ma “analizzando la questione in termini più ampi”. Probabile un attacco sulla notizia diffusa ieri di un drone che sorvolava il consolato di Bengasi durante l’attacco dell’11 settembre. “Siamo felici di parlare di politica estera e dei grandi fallimenti dell’Amministrazione Obama”, assicura lo stratega repubblicano Stuart Stevens, che aggiunge: “Vedere le ambasciate in fiamme non è propriamente un segnale di come le cose vadano bene”.

    Robert Satloff sul New Republic mette in fila le questioni di politica estera che – spera – il moderatore affronterà: Siria, Egitto, Pace in medio oriente, Iran, guerra al terrorismo, possibilità di una nuova guerra in medio oriente, implicazioni dell’auosufficienza energetica, necessità di fermare Teheran dal possedere la bomba nucleare.

    Il senatore dell’Ohio e stretto consigliere di Romney, Rob Portman, suggerisce al candidato repubblicano di parlare della notizia data sabato dal New York Times, secondo cui mancherebbe poco all’avvio di negoziati diretti tra gli Stati Uniti e l’Iran. “E’ l’ennesima dimostrazione che dalla Casa Bianca fuoriescono notizie delicate riguardanti la sicurezza nazionale”, spiega Portman.

    In campo democratico, invece, sono pronti a ricordare i successi di Obama (l’uccisione di Osama bin Laden su tutti) e a sottolineare le contraddizioni di Romney sulla politica estera, l’assenza di un piano repubblicano e il rischio che con il Gop alla Casa Bianca torni un clima da guerra fredda e che si alimentino nuove tensioni.

    Difficilmente la politica estera cambia la dinamica di una corsa alla Casa Bianca, a meno che non sia in gioco la sicurezza nazionale o l’onore dell’America (Carter ne sa qualcosa, visto che sul caso degli ostaggi all’ambasciata di Teheran si giocò gran parte della rielezione). Tuttavia, in una corsa in cui gli sfidanti sono di fatto in parità, ogni dibattito può essere decisivo. Barack Obama, più che con Joe Biden – in teoria l’esperto di politica estera, vista la sua lunghissima esperienza in Commissione Esteri al Senato – si affida ancora a John Kerry, sfidante di George W. Bush nel 2004 e in pole per diventare segretario di stato in caso di vittoria democratica e se Hillary Clinton andrà davvero in pensione.