Copione o no, Renzi somiglia sempre più alla sua prima vittima: Veltroni

Stefano Di Michele

Sarà forse l’invidia, visto che il camper va come un treno, ma benzina beve e benzina serve. Sarà forse invece che, come esorta il ministro Fornero, giovanotti meglio non fare gli schizzinosi, e allora quello che si trova si usa. O sarà che, esaurita la pionieristica fase rottamatrice (original copyright), bisogna concedere qualcosa al rassicurante usato (non fino a mutarsi nel bersanismo da autofficina, ma almeno una calmata al perenne ottovolante).

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    Sarà forse l’invidia, visto che il camper va come un treno, ma benzina beve e benzina serve. Sarà forse invece che, come esorta il ministro Fornero, giovanotti meglio non fare gli schizzinosi, e allora quello che si trova si usa. O sarà che, esaurita la pionieristica fase rottamatrice (original copyright), bisogna concedere qualcosa al rassicurante usato (non fino a mutarsi nel bersanismo da autofficina, ma almeno una calmata al perenne ottovolante). C’è un’ombra che, con malizia politica e malignità mediatica – il successo rende simpatici, ma il successo aumenta le antipatie – viene quasi quotidianamente rovesciata su Matteo Renzi: quella della copiatura, che accende il pensiero che sotto sotto, gratta la rottamazione, poco o niente resta. E’ curioso che, nelle settimane passate, l’accusa sia partita da due fronti che più contrapposti non si potrebbe: il responsabile economico del Pd, Stefano Fassina, e l’amministratore della Fiat, Sergio Marchionne. Copione! Copione! Anche se, ovviamente, ognuno a tiro del proprio punto di riferimento: secondo Fassina, Renzi ha copiato il programma del “competitore” Bersani – programma che, nella scarsa considerazione modernista in cui quello tiene il segretario, ha ritenuto scritto con Olivetti 32 – mentre Marchionne, che ha visione più internazionale delle cose, ha buttato lì: “Renzi è la brutta copia di Obama, ma ha parecchia strada da fare prima di arrivare a essere come Obama” – che in ogni modo, pur nel suo essere critica radicale, è roba sotto cui il sindaco potrebbe mettere la firma: la sola possibilità che, strada facendo come Baglioni, possa arrivare dalle Cascine ad avere come punto di approdo ideale Pennsylvania Avenue, è quantomeno una sorta di ribollita esistenziale (su un sito, addirittura, vengono messi a confronto, con grande azzardo, i programmi di Renzi e quelli di Romney: “Renzi copia da Romney”, magari troppo pure per i camperisti). Ma il paradosso ancora più singolare che assedia il tour renziano è il fatto che il suo modello di comportamento – il linguaggio, le citazioni, i personaggi, i luoghi scelti per le pubbliche apparizioni – pare diventato l’uomo (l’unico, per ora, a dire il vero) che ha appena rottamato: Walter Veltroni.

    E’ un contrappasso, forse. O più probabilmente un assumere, come in certe leggende nei filmetti di piccolo horror, come in certe paranoie new age, la personalità di colui che si è appena consegnato alla dimenticanza. Ha dovuto mandarlo fuori pista in nome di tutti i suoi anni sulla scena, e ne ha preso subito dopo se non le sembianze (la dieta renziana sembra aver sortito più duraturo effetto di quelle che pure ogni tanto Veltroni affrontava) la gestualità e il linguaggio. Ci fosse ancora sulla scena della cronaca politica il veltronismo che invece saluta e si congeda, Renzi sarebbe perfetto veltroniano – solo un Piccolo Granduca al posto del Piccolo Principe di una non dimenticata biografia di W. E infatti è circondato da supporter come Alessandro Baricco a nome, si capisce, della “sinistra moderna” – di belle e riflettenti camicie entrambi dotati, e pure Veltroni le sue notevoli prove da scamiciate ebbe (come resoconta la Stampa, “si risistema la camicia bianca, che mai come questa volta è vissuta”: urge tintoria?). Basta leggere le cronache delle sue serate qua e là e là e qua per l’Italia: l’identica scenografia, come fa Benigni quando espone Dante in piazza (dal Messaggero, “scenografia da convention americana, con due grandi scritte ai lati, grandi come quelle della collina di Hollywood”: e dove parla, a Woodstock?), evocativo il gratificante filmato iniziale di quella “bella politica” che W., ma a pagamento, portò in giro diversi mesi (discorso di Obama al funerale di bambina povera e nera, Will Smith che idealmente sta alla situazione come una figlia di Bob Kennedy), felicità evocata, comici sparpagliati, saggezza d’antan. E tutto mentre si marcia, titola la Stampa, verso “il Lingotto di Renzi”, ché onestamente il Lingotto di W. era, al massimo della Fiat (di Marchionne), con un programma che si potrebbe definire “moltiplicazione pani & pesci”, altro che Fassina: “Con me Pd al 40 per cento”. Ma niente ha dato la precisa impressione di un Renzi votato al veltronismo, come le continue citazione di personaggi carissimi all’immaginario di W.: don Milani (appena eletto segretario, Veltroni sulla sua tomba a Barbiana si recò) e Vittorio Foa: che Veltroni da Fazio ha citato quale esempio parlando del suo passo indietro, e che Renzi cita quale esempio per il suo passo avanti. Adesso, se D’Alema scopre che ’sto Renzi è solo un Doppio W., gliela dà lui la rottamazione. Con soddisfazione doppia.

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