Essere berlusconiani senza il Cav.

Alessandro Giuli

Sodali e antipatizzanti del Pdl dovrebbero rassegnarsi a un esercizio d’intelligenza pratica: 17 anni di berlusconismo sono entrati nell’autobiografia della nazione e non è possibile esiliarli come se niente fosse nel retrobottega degli esperimenti falliti. E’ una constatazione che vale, e non soltanto in astratto, a prescindere da ciò che Berlusconi vorrà fare di se stesso e della sua storia.

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    Sodali e antipatizzanti del Pdl dovrebbero rassegnarsi a un esercizio d’intelligenza pratica: 17 anni di berlusconismo sono entrati nell’autobiografia della nazione e non è possibile esiliarli come se niente fosse nel retrobottega degli esperimenti falliti. E’ una constatazione che vale, e non soltanto in astratto, a prescindere da ciò che Berlusconi vorrà fare di se stesso e della sua storia. E’ possibile che una tensione dialettica tra il Cav. e Angelino Alfano finisca per risultare virtuosa nel breve periodo e conferisca al segretario del Pdl quello spessore che alcuni esitano a riconoscergli. Ma il punto centrale non è l’ingresso nella maggiore età di un’aspirante classe dirigente cresciuta all’ombra del sultano, come non può esserlo la rimozione frettolosa della sua ombra. Per quanto sia consunto il rapporto magnetico tra il leader e il suo popolo, si tratta comunque di stabilire che cosa della costellazione berlusconiana corrisponda ancora alla sensibilità diffusa nell’elettorato di riferimento. O nell’Italia più in generale. Per esempio il “suo” sistema dell’alternanza a tendenza bipolare (prescindendo ora dal meccanismo di voto che lo sorregga); per esempio la decostruzione di antiche rendite corporative incistate nel mondo del lavoro e nei matrimoni morganatici tra establishment e politica; per esempio l’adesione al principio di contendibilità diretta della premiership e lo sforzo per renderla funzionale mediante una riforma della Costituzione (abortita). Infine la formula del partito fluido, più simile a un movimento o a un cartello elettorale, non per forza organizzato secondo una logica di centralismo carismatico (anche se, da Grillo a Renzi, gli imitatori non mancano).

    Il carisma non è un legato che si trasmetta per decreto o per furto, questo è indubbio, sopra tutto se non si agisca come outsider del Palazzo. Ma il dovere dei politici di professione alle prese con l’eredità del berlusconismo è anzitutto uno sforzo selettivo della memoria, senza il quale si corre il rischio di riprodurre gli stessi errori commessi dagli ex missini mentre davano vita ad An: non importa che cosa siamo stati, conta abbigliarsi al passo coi tempi. I tempi attuali, peraltro, sembrano preferire al centrodestra una sinistra assai vivace, anche perché sottoposta agli spasmi delle primarie, e la presenza di due blocchi paralleli sebbene irriducibili l’uno all’altro: la marea indistinta dei grillini e la superba compagine dei tecnocrati montiani (garante Giorgio Napolitano). E’ comprensibile che oggi il Cav., mentre tiene in vita con senso d’ineluttabilità il governo degli ottimati bocconiani, invidii un poco la spettacolosa, plebea e antisistemica seduttività di Beppe Grillo. Meno accettabile sarebbe che i dirigenti del Pdl non si ponessero subito l’esigenza di costruire un soggetto credibile, invece di smarrirsi irreparabilmente nei bizantinismi delle alleanze. Il Cav., bene o male, ha vinto e ha perso da patriota delle libertà, ha dato un lavoro ai post fascisti, ha governato coi cattolici sopravvissuti a Tangentopoli dopo averne riconquistato lui il voto, senza vezzeggiarlo e certo non distinguendosi per clericalismo: ha insomma dimostrato quel che doveva e potrà sopravvivere a se stesso. Sono i suoi rampolli che devono decidere se e come dare prospettiva al berlusconismo, pena il ritrovarsi con il nulla in mano e il Cav. immusonito sull’uscio di un partito fatiscente.

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