La Cina tifa Romney

L'analista del governo cinese ci dice: “Per noi è meglio Romney”

Matteo Matzuzzi

La Cina si augura che Mitt Romney diventi presidente degli Stati Uniti, che il 6 novembre sconfigga Barack Obama e che decida subito di cambiare rotta nei rapporti con Pechino. E’ l’auspicio di cui si fa portavoce Dingli Shen, direttore del Centro per gli studi americani alla Fudan University di Shanghai e studioso dei rapporti bilaterali tra i due paesi. La scorsa settimana, in un saggio pubblicato su Foreign Policy, scriveva che “un presidente repubblicano a Washington sarebbe la scelta migliore per la Cina”.

    Roma. La Cina si augura che Mitt Romney diventi presidente degli Stati Uniti, che il 6 novembre sconfigga Barack Obama e che decida subito di cambiare rotta nei rapporti con Pechino. E’ l’auspicio di cui si fa portavoce Dingli Shen, direttore del Centro per gli studi americani alla Fudan University di Shanghai e studioso dei rapporti bilaterali tra i due paesi. La scorsa settimana, in un saggio pubblicato su Foreign Policy, scriveva che “un presidente repubblicano a Washington sarebbe la scelta migliore per la Cina”. Interpellato dal Foglio, spiega il perché: “Obama ha sbagliato tutto, sia sul piano delle relazioni economiche sia su quello della sicurezza globale”. La colpa grave del presidente democratico è “non aver capito che Pechino per Washington può essere un’opportunità più che un ostacolo e un concorrente”. Il suo mandato – aggiunge Shen – è stato contraddistinto dalle continue provocazioni: “Ha schierato batterie di missili a Taiwan, ha incontrato per ben due volte il Dalai Lama e ha insistito in modo aggressivo sul tema del cambiamento climatico quando bastava affrontare la questione con pazienza e meno frenesia”.

    Sono due, però, le mosse che più hanno indispettito il governo cinese: il ritorno prepotente degli Stati Uniti in Asia e lo sviluppo di una rete di rapporti sempre più fitti con i paesi del sud-est asiatico – Vietnam e Filippine su tutti –, storicamente e strategicamente concorrenti della Cina. “Pensando di bilanciare nel mar Cinese meridionale la crescente potenza di Pechino (che ha ripetuto più volte di non avere alcuna intenzione di inglobare l’intera area entro i propri confini), Obama ha deciso che il Pacifico sarà il nuovo teatro primario per la strategia americana. Se vincerà le elezioni, nulla fa pensare che le cose cambieranno. La tensione nella regione aumenterà ancora”, dice il direttore del Centro per gli studi americani della Fudan University di Shanghai.

    Mitt Romney, invece, nonostante più volte nella campagna elettorale abbia accusato la Cina di manipolare da anni l’andamento della sua valuta e di violare le regole sul commercio mondiale, è l’uomo giusto per riallacciare i rapporti logorati dopo un quadriennio di incomprensioni: “Tutto quello che il candidato repubblicano ha detto in questi mesi sulla politica commerciale di Pechino ha lasciato del tutto indifferente il governo cinese”, spiega al Foglio Dingli Shen: “Usare toni forti fa parte della retorica da campagna elettorale”. Con Romney alla Casa Bianca c’è la possibilità di avviare un reset completo delle relazioni, di avviare un dialogo franco e di cooperare ovunque sarà possibile”. L’importante è che gli Stati Uniti lascino da parte le minacce ed evitino lo scontro: “Vista la situazione economica in cui versa l’America, forse converrebbe lavorare insieme per trovare una soluzione”.
    Pechino da sempre – fino dal 1979, anno in cui furono stabilite ufficialmente le relazioni diplomatiche con Washington – preferisce avere a che fare con Amministrazioni repubblicane, “perché come la Cina sono a favore del libero commercio, di poche regolamentazioni negli scambi e della libertà di impresa”. Tutti princìpi che si ritrovano nella “filosofia dello sviluppo” che Pechino sta portando avanti, dice Shen. E poi con Romney alla Casa Bianca ci sarebbero “meno fraintendimenti e più chiarezza. Lui usa parole forti, ha un programma che potrebbe anche essere più duro di quello dei democratici. Ma almeno è diretto e quindi non c’è il rischio di crearsi false illusioni” come accaduto nel 2008, quando Barack Obama sembrava prossimo a inaugurare una nuova èra anche nei rapporti con la Cina, salvo poi “vendere armi a Taiwan”.

    • Matteo Matzuzzi
    • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.