Milano, i rottamatori della finanza
“Indegno”: l’aggettivo più forte l’ha pronunciato Giovanni Bazoli, ottant’anni il 18 dicembre, presidente del consiglio di sorveglianza di Intesa Sanpaolo, ultimo sacerdote supremo della finanza italiana. “Oggi si usa un termine indegno, rottamare i vecchi”, ha detto il 21 ottobre durante un convegno a Padova promosso dalla Fondazione Immacolata Concezione. Il banchiere parlava in generale, però tutti hanno capito l’antifona. A voler mandare ai giardinetti non solo i vecchi, ma lo stesso Bazoli, è uno degli alfieri di questa sollevazione generazionale.
Milano. “Indegno”: l’aggettivo più forte l’ha pronunciato Giovanni Bazoli, ottant’anni il 18 dicembre, presidente del consiglio di sorveglianza di Intesa Sanpaolo, ultimo sacerdote supremo della finanza italiana. “Oggi si usa un termine indegno, rottamare i vecchi”, ha detto il 21 ottobre durante un convegno a Padova promosso dalla Fondazione Immacolata Concezione. Il banchiere parlava in generale, però tutti hanno capito l’antifona. A voler mandare ai giardinetti non solo i vecchi, ma lo stesso Bazoli, è uno degli alfieri di questa sollevazione generazionale. Il 29 settembre, Luigi Zingales, economista in quel di Chicago, guru in Italia con Fermare il declino, aveva lanciato l’attacco contro “l’oligarchia del capitalismo, vecchia, inadeguata, incapace di riformarsi”. Vasto programma, ma in realtà Zingales, nato 49 anni fa a Padova, ce l’ha con alcuni bersagli molto precisi. E trascina con sé una coorte di zeloti della purificazione anagrafica.
Nemici giurati sono i patti di sindacato che racchiudono in un intreccio di parenti, amici, soci, clienti, la crème del capitale. Insomma, tanto per fare nomi, il salotto di Mediobanca il quale interseca quello del Corriere della Sera. Zingales non nasconde una forte simpatia per Matteo Renzi e uno dei principali virgulti del renzismo, il suo emissario a Piazza Affari, cioè Davide Serra, gli fa da sponda. “Negli ultimi 20-30 anni si è affermato il modello di capitalismo protetto – ha dichiarato a Repubblica – Dal mio punto di vista, i patti di sindacato dovrebbero essere illegali”. La storia della Algebris nelle Isole Cayman, che ha infiammato la reazione vetero di Pier Luigi Bersani, è nata sulle colonne del Corriere della Sera. Il quotidiano di via Solferino si è beccato una piccata e puntuale replica con tanto di minacciata querela, perché il giornalista Stefano Agnoli ha omesso, trascurato o non compreso bene alcuni particolari essenziali, tra i quali il fatto non irrilevante che la casa madre, la holding che fa capo a Serra, paga le tasse a Londra. Ma intanto il velo è caduto. Non si tratta solo di liti tra comari. Serra mette ansia, timore persino. Lui muove i quattrini (l’anno scorso ha raggranellato 800 milioni di dollari), Zingales per ora solo le idee. Gli oligarchi ricordano bene l’attacco del giovanotto in Generali nel 2008, quando se la prese con un altro grande vecchio, Antoine Bernheim, con Mediobanca e con Benetton. Algebris non è un fondo locusta, Serra è “una persona di qualità”, giura Corrado Passera che lo conosce da vicino. Il problema non è lui; è la debolezza intrinseca dei patti di sindacato.
In Mediobanca il salvataggio Ligresti ha lasciato strascichi pesanti e qualche azionista di primo piano aspetta sulla riva del fiume. Rcs ha bisogno di capitali e soci importanti non hanno intenzione di aprire il portafoglio. E anche la cassaforte degli eredi Agnelli, Exor, è sempre meno pingue. “Tutti faranno la loro parte, l’aumento di capitale ci sarà”, assicura Bazoli, nel suo ruolo di garante della stabilità. Fuori dal patto c’è Diego Della Valle che compra (fu lui il primo a definire “arzilli vecchietti” Bazoli e Cesare Geronzi che gli sbarravano la strada). E c’è un giovanotto che rampa: Alessandro Proto rastrella azioni, le protegge in una sorta di contropatto, vuole acquistare il pacchetto del 5 per cento in mano ai Benetton e persino quello di Generali. Si sta creando un clima simile a quello del 2005, quando scese in campo Stefano Ricucci con i furbetti del quartierino?
La ragnatela in stile Enrico Cuccia da tempo non regge più. Marco Tronchetti Provera si è difeso con le unghie e con i denti da Vittorio Malacalza, la cui famiglia ha cominciato con le autostrade e oggi vorrebbe la Pirelli. Ma anche il patto che guida Telecom si tiene con gli spilli. Telefonica, la compagnia spagnola, è piena di debiti; i soci italiani (Intesa, Mediobanca e Generali) hanno perso buona parte dei quattrini sborsati per liquidare Tronchetti nel 2007. Nessuno in Italia è in grado di conquistare Telecom, tuttavia l’attacco al cuore del sistema non è solo culturale. Anche per questo il Corriere della Sera non perde occasione di mettere in rilievo le contraddizioni nel fronte dei rottamatori. Ed ecco perché Bazoli si preoccupa. Dotato di fine senso della storia (è lui che convinse Romano Prodi a candidarsi nel 1996), sa bene che la finanza è la politica condotta con altri mezzi, checché ne dica la scuola di Chicago.
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