Piazzetta Cuccia

Così procure e GdF accelerano il tramonto dei salotti milanesi

Stefano Cingolani

Le due procure che hanno in mano il patatrac del gruppo Ligresti, la settimana scorsa si sono incontrate e hanno deciso di dare un colpo d’acceleratore. Martedì con gran dispiegamento di forze una trentina di agenti della Guardia di Finanza ha fatto irruzione all’Isvap, l’Autorità di controllo sulle assicurazioni (che sta per passare alla Banca d’Italia), e in casa del commissario Giancarlo Giannini colpito da un avviso di garanzia per falso in bilancio. 

    Milano. Le due procure che hanno in mano il patatrac del gruppo Ligresti, la settimana scorsa si sono incontrate e hanno deciso di dare un colpo d’acceleratore. Martedì con gran dispiegamento di forze una trentina di agenti della Guardia di Finanza ha fatto irruzione all’Isvap, l’Autorità di controllo sulle assicurazioni (che sta per passare alla Banca d’Italia), e in casa del commissario Giancarlo Giannini colpito da un avviso di garanzia per falso in bilancio. L’operazione è partita dai pm torinesi Vittorio Nessi e Marco Gianoglio che indagano sulla gestione della compagnia di assicurazioni Fondiaria Sai.
    Intanto, a Milano, Luigi Orsi intende stringere l’inchiesta su aggiotaggio e ostacolo alla Vigilanza. Per tali ipotesi di reato, lo scorso luglio Salvatore Ligresti è stato iscritto nel registro degli indagati. Nel mirino il fallimento delle holding edili-immobiliari dei Ligresti (Imco e Sinergia) e il “patto occulto” con Alberto Nagel, amministratore delegato di Mediobanca, anche lui indagato. In cambio del sì all’intervento di Unipol nella ricapitalizzazione di Premafin-Fonsai, e alla successiva fusione fra i due gruppi, i Ligresti dovevano ottenere 45 milioni. Nagel si è difeso sostenendo che ha solo preso atto delle richieste della famiglia. Davanti al consiglio di amministrazione, lo scorso 5 settembre, si è assunto l’intera responsabilità. In compenso ha ottenuto una fiducia a termine. Un nuovo giro di vite potrebbe far saltare la tregua interna a Mediobanca e riaprire lacerazioni tra gli azionisti.

    “Lo showdown giudiziario sarebbe negativo – dice un esponente di spicco della banca d’affari che preferisce non essere nominato – Ma certo il rinnovamento al vertice della finanza italiana è inevitabile e positivo”. Da questo punto di vista, il terremoto politico in corso e il ritiro di Silvio Berlusconi hanno un effetto moltiplicatore e fanno chiarezza, sostiene il nostro interlocutore. Niente più alibi. Tutti dovranno venir fuori dal bosco e ciascuno condurrà la propria battaglia. Come invita a fare Davide Serra, il finanziere amico di Matteo Renzi e nemico dei patti parasociali? “Non si tratta di una questione generazionale. E’ che il capitalismo di relazione, quello dei salotti buoni, non regge più”, dice Tarak Ben Ammar, il quale è membro del patto di sindacato di Mediobanca e ricorda di aver bacchettato Diego Della Valle quando fece le sue battute sugli “arzilli vecchietti”, cioè Cesare Geronzi e Giovanni Bazoli. Defenestrato da Generali, Geronzi si appresta a raccontare la sua versione in un’intervista in uscita il mese prossimo. Bazoli è sempre lì, garante degli equilibri dentro il Corriere della Sera. “Uomo del vecchio sistema, esercita un potere dolce”, sostiene chi lo osserva da vicino, punto di riferimento di un mondo cattolico lombardo che arriva fino a Roma. E tuttavia il corso degli eventi sembra ineluttabile. Alle Generali il nuovo top manager Mario Greco guida come amministratore unico la terza compagnia europea di assicurazioni, la ricca cassaforte oggetto di plurimi desideri. Il divorzio con il finanziere ceco Petr Kellner è scontato. Bisogna vedere che cosa succederà con le attività in Russia. L’8 novembre è previsto un consiglio che prepara altre novità. In Rcs, l’aumento di capitale potrebbe essere un’ulteriore occasione per capire dove pende una bilancia sulla quale la Exor di John Elkann ha gettato il suo prestigio, ma niente quattrini.

    Il caso Ligresti entra in Parlamento
    Nessuno pensa che negli armadi di Piazzetta Cuccia sia nascosta una pistola fumante. Le Fiamme gialle sono arrivate il 9 maggio scorso. Il pezzo di carta più consistente rimane il “pizzino” firmato da Nagel per la buonauscita a Ligresti. L’ingegnere di Paternò, amico di Bettino Craxi, fedele custode ed esecutore dei voleri di Enrico Cuccia (mister 5 per cento, lo chiamavano), non ha incassato nulla. Senza corpo niente reato? Gli azionisti a settembre hanno ringraziato Nagel di averli scagionati. Il manager ha fatto da schermo, se non emerge nulla di nuovo, resta; a meno che non presenti un bilancio disastroso. Altrimenti, lui stesso si è impegnato a rimettere il proprio mandato. L’intero guazzabuglio Ligresti è entrato in Parlamento con l’audizione di ieri del presidente della Consob. Giuseppe Vegas ha vantato il merito di aver “fatto emergere tempestivamente le aree di criticità”. Gli ostacoli alla Vigilanza non vengono da qui. Quanto al mondo politico, non può certo alzare tropo la voce. Nel Pd regna l’imbarazzo per i nuovi legami (cioè Unipol, la compagnia delle cooperative rosse). A destra, per quelli antichi.