I rottamatori del New York Times e il caso Thompson
Tanti e tali sono i risvolti che rischia di portarsi appresso l'affaire Jimmy Savile - l'ex conduttore storico della BBC (scomparso lo scorso anno) in odor di abusi e di pedofilia recidiva sulla cui presunta copertura omertosa da parte dei vertici del broadcaster è in corso una seria e vasta indagine - che da qualche giorno uno di questi è sbarcato prepotentemente oltreoceano.
Tanti e tali sono i risvolti che rischia di portarsi appresso l'affaire Jimmy Savile - l'ex conduttore storico della BBC (scomparso lo scorso anno) in odor di abusi e di pedofilia recidiva sulla cui presunta copertura omertosa da parte dei vertici del broadcaster è in corso una seria e vasta indagine - che da qualche giorno uno di questi è sbarcato prepotentemente oltreoceano. E lo ha fatto aprendo una piccola grande crepatura nella granitica struttura di un altro colosso del mondo dei media con la schiena dritta e la M maiuscola, il New York Times, dalle cui colonne digitali martedì scorso Margareth Sullivan, il public editor del giornale, ha sollevato il seguente quesito: dello scandalo della BBC sappiamo molto vista la copertura che ne sta dando il nostro ufficio di Londra, ma non sarebbe forse il caso di farsi più aggressivi e di approfondire i vari "non ero a conoscenza davvero di nulla" dell'allora capo della tv inglese Mark Thompson, dato che, fino a prova contraria, dal prossimo 12 novembre lo stesso Thompson si insedierà ufficialmente come nuovo Ceo del nostro glorioso giornale? La domanda, vista la delicatezza della vicenda, non è caduta nel vuoto. In un'intervista del giorno dopo ripresa dallo stesso New York Times, Mark Thompson ha dichiarato che è assolutamente corretto che gli vengano chieste spiegazioni in merito da parte del suo imminente datore di lavoro ma che non crede di aver ravvisato nel suo comportamento su questa faccenda nulla che possa inficiare il suo impegno preso con il New York Times.
In realtà, uno dei punti che ha indebolito la posizione di Thompson, e che probabilmente ha portato Sullivan (che in quanto public editor rappresenta sì i lettori ma che ha anche un canale privilegiato e indipendente con gli umori redazionali) a tirar fuori pubblicamente la faccenda, è stata un'incongruenza abbastanza grossolana nelle sue recenti dichiarazioni. In un primo tempo Thompson aveva infatti sostenuto di non aver mai sentito parlare di nessuna inchiesta giornalistica su Savile in corso d'opera da parte dei giornalisti del programma della BBC Newsnight; in seconda battuta ha dichiarato che in effetti gliene aveva parlato di sfuggita una cronista della trasmissione a un party. Sempre riferendosi a quella conversazione con la giornalista di Newsnight, Thompson ha poi aggiunto in una dichiarazione riportata da Reuters: "penso di aver capito che si trattasse di un'inchiesta di natura sessuale ma non ne sono così sicuro. Di sicuro non ero a conoscenza che si potesse trattare di cose gravissime come la pedofilia e lo stupro e che determinati fatti avrebbero potuto aver avuto luogo in ambienti della BBC. Se questo fosse stato chiaro per me all'epoca avrei senz'altro chiesto di saperne di più, soprattutto in merito al fatto di procedere o meno con la messa in onda dell'inchiesta".
Il board del New York Times ha comunque ribadito la sua fiducia in Thompson confermando di reputarlo la persona ideale per la guida del futuro del giornale e, tramite la vice-presidente della comunicazione corporate Eileen Murphy, ha fatto sapere che "il public editor è una voce indipendente e fa il suo lavoro. Non è nostra abitudine commentare i suoi articoli". Tutto risolto quindi? Non proprio. Lo dimostra una dichiarazione allo stesso New York Times di Douglas Arthur, analista finanziario con interessi nel giornale di Sulzberger, il quale suggerisce di aspettare che Thompson sia chiamato dal parlamento inglese a riferire in merito alla vicenda, prima di confermarlo o meno nel ruolo per il quale era stato designato. E l'impressione generale è che da quelle parti non sia l'unico a pensarla così.
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