Ora la Bce svela il conflitto d'interessi delle agenzie di rating
Le valutazioni di Moody’s, Standard & Poor’s e Fitch sono tutt’altro che disinteressate, e questo ora è dimostrato con strumenti scientifici: lo afferma uno studio appena pubblicato dalla Banca centrale europea (Bce). Da tempo le tre agenzie di rating sono accusate di scombussolare l’economia assegnando voti poco chiari e bocciature a stati sovrani e imprese, e tutto questo dopo aver magari valutato positivamente Lehman Brothers soltanto una settimana prima del suo fallimento, o Parmalat alla vigilia del suo crac.
Roma. Le valutazioni di Moody’s, Standard & Poor’s e Fitch sono tutt’altro che disinteressate, e questo ora è dimostrato con strumenti scientifici: lo afferma uno studio appena pubblicato dalla Banca centrale europea (Bce). Da tempo le tre agenzie di rating sono accusate di scombussolare l’economia assegnando voti poco chiari e bocciature a stati sovrani e imprese, e tutto questo dopo aver magari valutato positivamente Lehman Brothers soltanto una settimana prima del suo fallimento, o Parmalat alla vigilia del suo crac. “Bisognerebbe imparare a vivere senza le agenzie di rating o quanto meno imparare a fare meno affidamento sui loro giudizi”, aveva commentato il presidente della Bce, Mario Draghi, quando le tre sorelle avevano iniziato a declassare la gran parte dei paesi europei spaventando gli investitori. Ora uno studio dell’Eurotower, intitolato “Bank ratings, what determines their quality?”, sembra legittimare lo scetticismo. Autori una ventina di economisti coordinati da Harald Hau, docente all’Università di Ginevra; da Sam Langfield, dello European Systemic Risk Board Secretariat e della Financial Services Authority inglese.
Nello studio si preferiscono numeri e grafici alle invettive: “Questo paper esaminerà la qualità dei rating assegnati alle banche in Europa e negli Stati Uniti dalle tra maggiori agenzie di rating nel corso delle due passate decadi. Interpretiamo i rating come attestazioni relative di affidabilità creditizia, e definiamo un nuovo sistema di misurazione ordinale dell’errore dei rating basato sulle frequenze di default bancario attese”. Il linguaggio è piuttosto tecnico, ma la conclusione è piuttosto esplosiva: “I nostri risultati suggeriscono che le agenzie di rating assegnano giudizi più positivi alle banche grandi e a quelle istituzioni che più offrono occasioni di alimentare il business delle agenzie stesse. Queste distorsioni competitive sono economicamente significative e contribuiscono a perpetuare l’esistenza di banche ‘troppo grandi per fallire’”. Tutto ciò ovviamente genera “distorsioni della competizione”. E allo stesso tempo alimenta l’azzardo morale (o “moral hazard”), cioè quella forma di opportunismo degli operatori finanziari che si assumono rischi sapendo in fondo di essere “coperti” dalle stesse agenzie e garantiti in ultima istanza dai soldi del contribuente. Senza contare che perfino l’applicazione dei nuovi standard sulla capitalizzazione bancaria, comunemente noti come Basilea III, sarebbero influenzati dai voti assegnati da Moody’s, Standard & Poor’s e Fitch.
Per arrivare a queste conclusioni, gli economisti della Bce hanno raccolto i 38.753 “voti” dati dalle tre agenzie a quelle che in base al rating erano state, tra il gennaio del 1990 e il dicembre del 2011, le 369 migliori banche. Poi hanno confrontato questi dati con i primi 200 posti di una classifica di 1.189 soggetti emettitori di derivati: il 90 per cento di un mercato da 6.000 miliardi di dollari. E’ risultato che 53 istituti erano presenti in entrambe le liste, mentre degli altri 147 soggetti emettitori di derivati nessuno era una banca. E di queste 53 banche 10 da sole rappresentavano il 67,5 per cento del valore emesso in origine. Il favoritismo di Moody’s & Co. influenza le aspettative degli investitori e quindi può comportare un abbassamento del costo di finanziamento. Insomma, agli occhi della Bce, le agenzie di rating sono tutt’altro che dei paladini del mercato libero e concorrenziale.
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