Sopravviverà l'Eroe ai suoi quattrini?
All’Antonio Di Pietro sotto inchiesta a “Report” per l’uso del finanziamento pubblico non basta, per sopravvivere al deflagrare di un “caso” che porta il suo nome, la riproposizione sul suo sito di una vecchia lettera a Vittorio Feltri su simile argomento (sotto il titolo di “calunnie, solo calunnie”) e un post (titolo “carta canta”) in cui annuncia la pubblicazione “delle sentenze di condanna” dei suoi “diffamatori”.
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Roma. All’Antonio Di Pietro sotto inchiesta a “Report” per l’uso del finanziamento pubblico non basta, per sopravvivere al deflagrare di un “caso” che porta il suo nome, la riproposizione sul suo sito di una vecchia lettera a Vittorio Feltri su simile argomento (sotto il titolo di “calunnie, solo calunnie”) e un post (titolo “carta canta”) in cui annuncia la pubblicazione “delle sentenze di condanna” dei suoi “diffamatori”. Non gli basta nemmeno rispondere in video alle domande del vicedirettore di Repubblica Massimo Giannini o gridare alla “resipiscenza operosa” dell’Italia dei valori che, triplo salto mortale, vuole eliminare non solo il finanziamento pubblico, dice Di Pietro, ma anche “la diaria dei parlamentari”. Non basta, tutto questo, ad arginare il malumore interno all’Idv, specie dopo la testimonianza a “Report” di Elio Veltri, l’ex cofondatore allontanatosi nel 2001 (nel gennaio 2012 ha pubblicato con Marsilio il libro “I soldi dei partiti”, con due capitoli duri dedicati al suo ex partito), tanto che il capogruppo dei deputati Massimo Donadi chiede “un congresso straordinario” (interpellato, Donadi dice di aver trovato “non brillante” la risposta di Di Pietro alle domande di “Report” e di considerare “imprescindibile” il “rinnovo della classe dirigente” e “l’ulteriore democratizzazione del partito”, anche fosse attraverso “primarie interne”). E se nell’Idv c’è anche chi difende l’ex pm dando la colpa a “Report” (“accuse riciclate”, dice Fabio Evangelisti), fuori infuria l’ira degli elettori delusi, uniti su Facebook in un generale “tu quoque” contro l’ex pm di Mani pulite che fino a ieri si poneva come simbolo della politica “degli onesti” emersi dalle ceneri dei sommersi e travolti della Prima Repubblica. E a leggere i messaggi comparsi ieri sui social network (“vergogna”, “anche tu fai parte della casta”), sembrava farsi sempre più stretta la strada politica percorribile dall’ex pm del pool di Milano, l’ex “uomo nuovo” uscito dalla magistratura in circostanze controverse nel 1994, il ministro prodiano indagato a Brescia (senza esito) per concussione e abuso d’ufficio, il fondatore di partito a suon di foto da contadino sul trattore e di riproposizione in altre forme della famosa frase “io quello lo sfascio” pronunciata (raccontava Francesco Saverio Borrelli) all’indirizzo di Silvio Berlusconi.
Che farà ora Di Pietro, accusato di ciò di cui accusava gli altri, ci si chiede, vista anche la pregressa difficoltà dell’ex pm nel mantenersi utile alla causa giustizialista del “tutti ladri” in un quadro di gran concorrenza anticasta, con Beppe Grillo frontman e i libri di Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella in vetta alle classifiche. Che farà visti anche i rapporti tesi con il Pd e le reiterate critiche amiche da sinistra, con l’area MicroMega di Paolo Flores d’Arcais che da tempo lo pungola sulla scelta della classe dirigente e lo invita a un “big bang” non renziano, del genere “scioglimento nei movimenti”. E’ perplesso Furio Colombo, che dal Pd ha sempre guardato con “stima e attenzione” a Di Pietro, ma anche con “stima e attenzione” al “Report” di Milena Gabanelli, e ora, in un momento in cui “la politica italiana si fa tutta incidenti, accidenti e corpi sparsi come nel film ‘Weekend’ di Jean-Luc Godard”, si trova “imbarazzato” nell’“immaginarsi l’imbarazzo di Di Pietro”. E vorrebbe che Di Pietro risolvesse la situazione “con un atto di coraggio all’americana”, andando “allo sbaraglio davanti all’opinione pubblica”. E Antonio Padellaro, direttore del Fatto, uno che ha sempre apprezzato il Di Pietro “non a caso vittorioso nell’urna” che “criticava il malgoverno berlusconiano durante gli anni del berlusconismo trionfante e denunciava, solitario, il crollo di qualsiasi etica pubblica”, ora dice: “Sarebbe stato meglio non diventare oggetto di indagine giornalistica”. Di Pietro, dice Padellaro, deve ora “immediatamente azzerare la classe dirigente, e affidarsi anche alla rete per una nuova selezione”, tanto più che “ha tardato nel farlo” e “non ha saputo gestire la crescita di Grillo” in un momento di difficoltà di rapporti “con un Pd che stracciava la foto di Vasto per le sue critiche al presidente della Repubblica”.
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