Perché quelle di Vendola non sono soltanto lacrime di gioia giudiziaria

Marianna Rizzini

Sulle montagne russe di Nichi Vendola (un giorno il flop elettorale in Sicilia, due giorni dopo l’assoluzione a Bari: nessun abuso d’ufficio, il fatto non sussiste) anche le lacrime di Nichi Vendola, versate fuori dal tribunale in mezzo a un’apoteosi di parole di grave sollievo – “calici amari”, “innocenza del cuore”, vita da “persona perbene”, “barricate”, vittoria sui “ceti politici verminosi” – non sono lacrime da un solo giro.

    Roma. Sulle montagne russe di Nichi Vendola (un giorno il flop elettorale in Sicilia, due giorni dopo l’assoluzione a Bari: nessun abuso d’ufficio, il fatto non sussiste) anche le lacrime di Nichi Vendola, versate fuori dal tribunale in mezzo a un’apoteosi di parole di grave sollievo – “calici amari”, “innocenza del cuore”, vita da “persona perbene”, “barricate”, vittoria sui “ceti politici verminosi” – non sono lacrime da un solo giro. E Nichi Vendola infatti non le lascia lì, le lacrime, a disposizione dei commentatori (magari ostili, come capitò a Elsa Fornero), ma se le riprende subito per portarle su e giù dall’ottovolante e metterle a sigillo di un ruolo da giocare nelle primarie e nel piatto delle alleanze nel centrosinistra. Perché sono due giorni che Nichi Vendola, prima da Fabio Fazio su RaiTre, poi in videochat sul sito del Corriere della Sera, infine a Bari, entra ed esce, con volto cupo, dal ruolo del “poveretto me”: “Meglio perdere e dimostrare una diversità”, aveva detto a Fazio, a urne siciliane appena aperte; “ho davanti due Golia”, ha detto ieri a proposito di Matteo Renzi e Pier Luigi Bersani, dopo aver messo nel cassetto il dolore “incancellabile” del processo. “Parto con uno svantaggio rispetto ai miei competitori che si dedicano a tempo pieno alle primarie”, ha aggiunto, mentre a Bersani arrivava il messaggio lanciato da Vendola sulle pagine dell’Unità: “Il segretario del Pd usi la stessa lingua con me e con Casini”. E però il flop in Sicilia resta, come restano i sorrisi tra Bersani e Casini dopo che l’asse tra i due ha portato all’elezione di Rosario Crocetta, mentre Vendola deve fare i conti con un nuovo nulla: non un uomo all’Assemblea regionale siciliana e un’alleanza con Idv, Verdi e comunisti di Ferrero/Diliberto (Fds) che porta a un’altra traversata nel deserto, come dopo le elezioni politiche del 2008, solo che ora c’è lui, Nichi, e non Fausto Bertinotti (Bertinotti non è sulla sua linea, come si evince dagli scritti bertinottiani sulla rivista Alternative per il socialismo, incentrati sul “saltare un giro” più che sul salire “sul treno in corsa”). Vendola sul treno ci è già salito (si fa e non si dice) e intanto esorcizza il tonfo al sud con l’apocalisse (“orlo del precipizio”, “buco nero”, “voragine”, “gattopardi” che “spolpano”, “politica che se non libera dalla paura fa schifo”, ha detto in videochat). Ma gli internauti che lo seguono sui siti, implacabili, hanno già emesso (l’altra) sentenza: “Vocazione minoritaria”, “sinistra elitaria”, visione “vetusta del secolo scorso”.

    Corrucciato o commosso, Vendola ha sempre lo stesso problema: restare alleato del Pd senza apparire (ai suoi elettori) troppo morbido con l’Udc, mostrarsi rassegnato sull’Unità (“non c’è spazio fuori dal centrosinistra”) e non rassegnato sui teleschermi (“niente accrocchi”, “l’Italia ha un deficit di modernità e libertà: credo che difficilmente Casini possa essere della compagnia”). Enrico Letta dal Pd gli dice: “Impara qualcosa dal voto in Sicilia”; Massimo D’Alema non lo vede “incompatibile” con Casini; ma lui, Vendola, che in caso di condanna voleva “ritirarsi a vita privata”, per “senso dell’onore” e amor di “trasparenza”, tra il giorno del dramma palermitano e quello del giudizio barese si è presentato dolente ma baldanzoso in tv per dire che “bisogna saper perdere”, dando en passant il colpo di grazia ad Antonio Di Pietro, compagno di sventura elettorale, nella polvere per tutt’altra storia: “Tonino deve capire che il populismo è un veleno”. Tra una frecciata a Bersani “vorrei ma non posso” e una a Renzi “idrolitina nell’acqua morta”, Vendola faceva il kingmaker – “al Quirinale vedo Romano Prodi o una donna” – scatenando commenti sul Web: “Tifa Prodi, ma vorrei chiedergli come mai lui e i bertinottiani di allora lo hanno per due volte sfiduciato da presidente del Consiglio”, scriveva un internauta. Intanto diceva la sua sul futuro pre-elettorale: “Se Renzi vince le primarie liberi tutti, ha ridicolizzato la carta d’intenti del centrosinistra”. Pazienza se Renzi rispondeva: “Se vinco non farò saltare il patto con Vendola”. Ieri Vendola affogava la doppia linea nel momentaneo incasso mediatico, e scriveva soltanto una parola – “felice” – sul sito di Sel.

    • Marianna Rizzini
    • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.