Perché Stramaccioni è diventato credibile nella parte del piccolo rottamatore

Beppe Di Corrado

Andrea Stramaccioni è credibile. Lo capisci quando ogni volta che l’Inter segna e uno, uno a turno dei giocatori, si gira verso la panchina e lo indica. Lui sta esultando, col pugno in alto o in basso, con i denti digrignati: “E andiamo”. Juventus-Inter è l’interrogazione preparata, quella che fai quando hai studiato, quella dove arrivi preparato. Può perdere Stramax, va bene. Ma arriva a Torino con le pagine del libro sottolineate davvero.

    Andrea Stramaccioni è credibile. Lo capisci quando ogni volta che l’Inter segna e uno, uno a turno dei giocatori, si gira verso la panchina e lo indica. Lui sta esultando, col pugno in alto o in basso, con i denti digrignati: “E andiamo”. Juventus-Inter è l’interrogazione preparata, quella che fai quando hai studiato, quella dove arrivi preparato. Può perdere Stramax, va bene. Ma arriva a Torino con le pagine del libro sottolineate davvero. In piedi davanti alla cattedra del pallone a raccontare la storia di uno che si sta costruendo, uno che fosse in una piccola sarebbe già il caso sportivo dell’anno. Il sottinteso di inizio campionato era di quelli che ci vuol poco a capire: l’Inter è troppo per lui, l’Inter non si dà a un ragazzino, l’Inter gli scoppierà in mano. Ora a scoppiare è il fegato dei criticoni, dei contrari a prescindere, dei professorini che lo hanno impallinato persino sul modo di parlare. Erano quelli partiti subito con il ritornello più facile e più stucchevole: troppo giovane. Già, perché la dignità non arriva da un’idea, ma dal capello bianco. Già, perché la capacità non arriva dalla voglia, dall’impegno, dalla sapienza, ma dall’esperienza. L’avevano visto bruciato già prima di cominciare e facevano finta di piangere preventivamente per lui: “Poveraccio, è bravo, ma così lo mandano al macello”. L’implicito qui era un altro: se ce la fa lui, siamo tutti fregati. Perché se uno ce la fa a 36 anni nell’Inter allora può mandare in prepensionamento gli altri, quelli troppo vecchi per essere giovani e troppo giovani per essere vecchi. Gli hanno tirato i piedi e l’effetto è stato che l’hanno rafforzato. Dieci giornate dopo, Stramaccioni è secondo in classifica con una squadra più debole sulla carta di altre che oggi la seguono; è secondo dopo un mercato a costo praticamente zero; è secondo vincendo sei volte di seguito tra campionato e coppa. Eccolo, Stramax: con una gestualità che va ancora affinata, con delle movenze a volte troppo accentuate, con tutto quello che vi pare, ma cre-di-bi-le. Come quei cantanti di “X Factor” che sembrano già pronti per un disco.

    Perde stasera con la Juventus? Possibile, diciamo anche probabile. Embè? Zeman è stato travolto. Stramaccioni che se la gioca per il secondo posto sarebbe già di più di quanto tutti pensassero all’inizio del campionato. E se è per questo, molti pensavano che neanche sarebbe arrivato alla decima giornata. Sono scomparsi, adesso. Ovvio. Restano lì sugli alberi di Appiano Gentile pronti a ricalare sulla terra nel momento in cui Andrea dovesse cadere. Godono a quest’idea e soffrono ora. Incapaci di ammettere che l’Inter ha scelto la cosa più difficile: la passione al posto dell’esperienza, la luce negli occhi al posto del pelo sullo stomaco. Chi prevede una fine facile e immediata potrà anche avere ragione, ma non ha prospettiva. Stramaccioni è un progetto: bisogna crederci. L’Inter ci stanno credendo. E soprattutto: lui ci sta credendo. Sbruffone? Può essere. E’ una difesa contro i barbari che lo vogliono morto. Dicevano: come farà a mettere in panchina uno come Zanetti che è capitano, ha vinto tutto ed è anche due anni più grande di lui? La risposta è stata il pallone che rotola, che va così e così, che a volte gira male, ma poi si riprende, va, funziona. Gol, e dopo il gol lo sguardo verso di lui. Come a dire: Andre, noi siamo con te. Perché lui non è un ragazzo, lui è l’allenatore dell’Inter. Lui studia, lui capisce, lui decide. Non serve altro, se non la possibilità di lasciargli fare il suo mestiere. Lo sta facendo: ha scelto lui che Pazzini non avrebbe dovuto far parte dei suoi piani; ha scelto lui come gestire Antonio Cassano. Il suo arrivo era stato preceduto dagli sghignazzi: “Vediamo ora come se la cava il ragazzino con quel matto di Cassano”. Se la cava così: in dieci giornate, Tonino ha fatto cinque gol e altrettanti assist. Gioca, si diverte, gode, trascina. E Stramaccioni? Sta lì in panchina: Cassano non funziona? Fuori. Così Palacio, così gli altri. Essere giovani non significa essere codardi. Stramax deve solo scegliere, basta. Siamo un paese che si lamenta costantemente della sua gerontocrazia. Diciamo: guarda gli Stati Uniti che hanno eletto alla Casa Bianca un Under 50, guarda la Spagna dove uno come Guardiola è stato preso dal nulla ed è stato messo ad allenare la squadra più forte del mondo. Ci riempiamo la bocca con le politiche per i giovani, gli incentivi ai giovani, gli aiuti ai giovani. Diciamo: largo ai ragazzi, poi diciamo “e però serve l’esperienza”.

    Così se vince e non lo si può attaccare sui risultati, si usa altro. L’hanno punzecchiato quando perché s’è storto quando hanno definito la sua Inter “provinciale”. Gli hanno detto: “Permaloso”. Facile, no? Però provino a dirlo a un altro che una squadra che ha vinto diciotto scudetti possa mai essere definita una provinciale. Non scherziamo, dai. La verità, l’unica, è che quell’aggettivo non era riferito alla squadra, ma a lui. E allora ha fatto bene a prendersela, ha fatto bene a rispondere, ha fatto bene a precisare. Non è che la l’età debba essere una fregatura per lui: è giovane, allora ha più diritto di sbagliare, non meno. Ed è meglio che sia permaloso lui che un sessantenne. Qualcuno ha mai provato a mettersi nei panni di Stramax in questi mesi? A ogni sostituzione, a ogni gol sbagliato da uno scelto da lui, a ogni buco della difesa scelta da lui, era già pronta la canzoncina: “Non è ancora pronto”. S’è sentito tutti i se, i ma, i boh. Con quest’Italia, Moratti e Stramaccioni hanno già vinto: hanno capito che chi non ha aspettato di vederlo in panchina e in campo prima di giudicarlo aveva soltanto paura. E’ dura vedere avere successo uno con i capelli ancora neri, con la faccia da ragazzotto un po’ secchione, da giovanotto impertinente. E’ umano, in fondo: il tempo che passa fa male, il tempo che gioca per un altro fa peggio. Il bello è che Javier Zanetti e gli altri giocatori l’hanno capito: Stramaccioni va seguito perché sa lavorare, se gli avessero fatto la guerra solo perché l’allenatore è più giovane di loro, avrebbero già perso. Quelli che non l’hanno ancora capito, invece, stanno fuori dal campo. E anche fuori dal tempo.