La Right Nation non ha un presidente

Paola Peduzzi

La bestia sonnecchiava, ferita, e Barack Obama l’ha stuzzicata, infastidita, provocata. E la bestia s’è risvegliata. Eccola qui, la Right Nation, quel miscuglio di patria, religione, valori non negoziabili, terra e pancia che compongono l’anima conservatrice dell’America e che per oltre trent’anni ha dettato l’agenda politica americana. L’ingresso di Obama alla Casa Bianca ha sancito il restringimento della Right Nation, che “non era più mainstream”, come dice al Foglio Adrian Wooldridge.

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    La bestia sonnecchiava, ferita, e Barack Obama l’ha stuzzicata, infastidita, provocata. E la bestia s’è risvegliata. Eccola qui, la Right Nation, quel miscuglio di patria, religione, valori non negoziabili, terra e pancia che compongono l’anima conservatrice dell’America e che per oltre trent’anni ha dettato l’agenda politica americana. L’ingresso di Obama alla Casa Bianca ha sancito il restringimento della Right Nation, che “non era più mainstream”, come dice al Foglio Adrian Wooldridge, giornalista dell’Economist che ha redatto la column Lexington fino al 2009 (ed era imperdibile) e ha scritto nel 2005 il libro definitivo sulla cultura politica americana, “The Right Nation: Conservative Power in America”, assieme a John Micklethwait, attuale direttore del magazine britannico (che nell’ultimo numero ha fatto un endorsement non troppo elettrizzato a Obama). Già durante il secondo mandato di George W. Bush la Right Nation ha iniziato a ripiegarsi su se stessa, la coalizione reaganiana che la rappresentava a Washington si è sfilacciata e l’urgenza del change ha avuto la meglio su asinelli ed elefanti, lasciando nell’angolo della dispensa le ciambelle, le birre, gli hot dog.

    “E’ durato poco, ma gli effetti sono stati tremendi”, sostiene Wooldridge, con quella sua voce chiara che sovrasta il chiacchiericcio allegro udibile in sottofondo. “Nel 2008 Obama era riuscito a convincere anche molti conservatori, dopo gli anni difficili e controversi di Bush Jr. Ma l’idillio è durato poco, perché il presidente ha abbandonato il messaggio d’unità e ha iniziato a imporre logiche di sinistra”. Wooldridge non sposa la tesi del pragmatismo di Obama, anzi, dice che il presidente vuole essere “il Reagan della sinistra”, che le battaglie più importanti di questa Amministrazione sono state “di sinistra, l’Obamacare vale per tutti”, che “si è alienato le simpatie della middle class” e soprattutto che ha sperperato il suo patrimonio politico “dimostrando di non aver capito nulla del conservatorismo americano”. Senza capire quel pezzo d’America è difficile andare avanti: si possono ottenere successi elettorali, ma non significa saper governare un paese.

    La bestia che si è risvegliata è indomabile, “lo è anche per i repubblicani – continua Wooldridge – perché a differenza degli anni bushiani ora la Right Nation non è più allineata con il Partito repubblicano”. A dividerli è stata la crisi, “fin dai primi momenti, nel settembre del 2008, si era capito che i repubblicani non avevano idea di come muoversi, basta ricordare John McCain”: “Clueless”, lo definisce, spaesato, incompetente. “L’intervento dello stato nell’economia è stato audace ed enorme e la Right Nation non è disposta ad accettare tutto questo centralismo”. Siamo sempre lì: è il Tea Party libertario l’espressione della Right Nation? E se sì, perché dopo il mini exploit a mid-term si è inabissato? Pare quasi che il Tea Party sia uno spauracchio, un’illusione mediatica, un feticcio da sbandierare per spaventare tutti, i moderati soprattutto. “La Right Nation non teme le etichette – spiega Wooldridge – è fuori controllo, è arrabbiata. Cercherà maggior purismo conservatore, cercherà di portare il partito verso i suoi territori, più estremi, per sentirsi finalmente rappresentata”.

    “Newsroom”, serie tv ideata da Aaron Sorkin, riflette questo meccanismo: il famoso anchorman repubblicano (repubblicano in versione sorkiniana, repubblicano buono, repubblicano-democratico) usa la propria trasmissione per fare la guerra alla Right Nation, accusata di aver “dirottato il partito”, e si fa tanti nemici dentro alla tv e al Congresso, ma naturalmente se ne frega, perché il paese viene prima di tutto. Lo spirito salvifico della fiction attraversa anche alcune parti dell’establishment dei conservatori, “ma se Washington confermerà le politiche attuali – dice Wooldridge – non ci saranno salvatori, ci sarà soltanto la voglia di vendetta”. Vendetta contro il deficit enorme, vendetta contro lo “state capitalism”, che è così alieno alla natura americana, figurarsi quanto può essere indigeribile per la Right Nation. Non si salverà nessuno, “nemmeno Mitt Romney, che si è venduto come un ‘problem solver’, ma nulla ha a che fare con le convinzioni che animano il movimento conservatore”. Nessuno la comprende più, la Right Nation, forse non è più la stessa, con tutta questa rabbia. “No, qualcuno c’è: è Paul Ryan, il candidato vicepresidente”. Giovane, ambizioso, ideologicamente cristallino, fisicato, con quella voracità che tanto assomiglia al pezzo di America che Obama ha finito per evitare. Gli occhi azzurri della Right Nation: chissà se sopravviveranno alle lotte interne, chissà se risulteranno vincenti.

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    • Paola Peduzzi
    • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi