Primarie o morte

Così Alfano cerca di rilegittimare il Pdl nell'èra post carismatica

Salvatore Merlo

“Le primarie sono l’unico modo di riformare il centrodestra”, dice Angelino Alfano. Il segretario del Pdl si affaccia sulla soglia di Via dell’Umiltà, sede del partito che fu del solo Berlusconi, e prova così, di fronte ai giornalisti famelici, ad allontanare il borbottio di Daniela Santanchè, di Giancarlo Galan (e anche del Cavaliere), cioè di chi forse le primarie non le vuole fare. E il segretario, che per ora resiste all’agitazione che gli si muove intorno, parla con il sorriso fatalista di chi ha chiari i confini crepuscolari all’interno dei quali è costretto a fare manovra.

    Roma. “Le primarie sono l’unico modo di riformare il centrodestra”, dice Angelino Alfano. Il segretario del Pdl si affaccia sulla soglia di Via dell’Umiltà, sede del partito che fu del solo Berlusconi, e prova così, di fronte ai giornalisti famelici, ad allontanare il borbottio di Daniela Santanchè, di Giancarlo Galan (e anche del Cavaliere), cioè di chi forse le primarie non le vuole fare. E il segretario, che per ora resiste all’agitazione che gli si muove intorno, parla con il sorriso fatalista di chi ha chiari i confini crepuscolari all’interno dei quali è costretto a fare manovra: “O si fanno le primarie o si muore”. L’analisi è spietata, e anche piuttosto condivisa tra gli uomini che lo cosigliano. Sfilacciato, il Pdl annaspa nel tentativo di tirarsi fuori dalla poesia un po’ matta del carisma berlusconiano per affidarsi, proprio attraverso le primarie osteggiate dall’interno, alla prosa salvifica, all’aurea mediocrità dell’èra post carismatica. L’èra di Alfano, appunto, se gli riesce di resistere e respingere gli urti, le intemerate del Cavaliere e le sue alterne smentiteche a parere del segretario svelano tutto un altro orizzonte: quello della ridotta.

    Riuniti ieri a via dell’Umiltà, gli uomini del partito si sono guardati negli occhi e hanno stabilito, non senza resistenze, che le elezioni primarie s’hanno da fare e senza indugi: si terranno il 19 dicembre. “I paragoni col Pd ci fanno solo male”, ha detto Alfano, che ha rimbrottato così quanti avevano vaticinato l’insuccesso, quelli che agitano come una mazza contundente i milioni di elettori potenziali del Partito democratico, della sfida tra Bersani e Renzi. Ma Alfano non si aspetta di superare il Pd, né di eguagliarlo, non ci pensa nemmeno, sa dov’è la trappola: è il confronto che va evitato, perché queste primarie non sono certo la grande iniziativa di un partito vincente e in salute, non saranno uno spettacolo mirabile e di massa, ma più semplicemente (o mestamente) le primarie del Pdl sono l’unica strada percorribile per il berlusconismo orbo di Berlusconi, per un movimento che intende sopravvivere al suo fondatore e un tempo padrone: o così o è finita. Primarie, dunque, per individuare un capo, un candidato premier che dal giorno successivo alla sua elezione, votassero anche solo cento persone, non sarà più il travet di Palazzo Grazioli, di casa Berlusconi, l’esecutore a comando, il segretario che timbra le decisioni e si piega agli umori di un Cavaliere che a giorni alterni vorrebbe spazzare tutto via per riproporsi. Alfano sta valutando l’ipotesi di modellare la competizione all’americana: si vota nelle diverse regioni, da dicembre fino a gennaio inoltrato, in modo da eleggere i rappresentanti (i grandi elettori) di questo o quel candidato. Obiettivo: mobilitare energie e interesse mediatico.

    “Dobbiamo dare un grande spettacolo di vitalità, il Pdl è morto, viva Forza Italia, evviva Silvio”, canta Daniela Santanchè, appassionata interprete del berlusconismo, quello più vero; mentre Alfano, al contrario, con tono paziente e a tratti dimesso, parla di “fatica” e di “rischio”. E sono lingue e orizzonti evidentemente lontani, si contrappone una sociologia pirotecnica a una sociologia della modestia, certo meno brillante ma con in tasca una lama di lucidità: Alfano e i suoi sostenitori esprimono il punto di vista di Sancho Panza, la sua concezione di vita, il suo buon senso materialistico, indispensabile contrappeso alla sublime follia di Don Chisciotte (Berlusconi) che vorrebbe andare alla carica in sella a una lista che i sondaggi, quelli benevoli, danno all’8 per cento. La partita è aperta, “che ciascuno se la veda col suo peccato”, diceva Cervantes.

    • Salvatore Merlo
    • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.