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I funzionari del Partito comunista cinese, quelli della vecchia guardia cresciuti nel mito di Mao, guardano con sospetto al proliferare di blog, microblog, social network. Sono terrorizzati da questa nuova moda, non finirà per travolgere il palazzo, per portare ancora più problemi dei tanti che già ci sono? Tollerano di più i tabloid, ultima frontiera di un’osmosi occidentale sempre più forte. C’è un motivo: dei tabloid come li intendiamo noi, quelli cinesi hanno solo il formato e poco altro. Niente a che fare con il Sun e le sue signorine nude a pagina tre.
Leggi Cina a doppio taglio di Alberto Brambilla
I funzionari del Partito comunista cinese, quelli della vecchia guardia cresciuti nel mito di Mao, guardano con sospetto al proliferare di blog, microblog, social network. Sono terrorizzati da questa nuova moda, non finirà per travolgere il palazzo, per portare ancora più problemi dei tanti che già ci sono? Tollerano di più i tabloid, ultima frontiera di un’osmosi occidentale sempre più forte. C’è un motivo: dei tabloid come li intendiamo noi, quelli cinesi hanno solo il formato e poco altro. Niente a che fare con il Sun e le sue signorine nude a pagina tre. Sono però il lato più leggero dell’informazione locale, il contraltare del Quotidiano del popolo, l’organo d’informazione del Pcc. Hanno anche un ruolo importante, perché sono strumento di critica e denuncia che, “se confinate a casi specifici e circoscritti al contesto locale, sono tollerate, se non proprio incoraggiate”, dice al Foglio Laura De Giorgi, docente di Storia della Cina moderna e contemporanea all’Università Ca’ Foscari di Venezia. Come per i quotidiani, tv e radio, anche i tabloid sono controllati dal Partito: ai giornalisti il dipartimento per la Propaganda invia con regolarità circolari in cui elenca le notizie che non devono essere divulgate al pubblico e quelle che, invece, meritano spazio sulla carta stampata e in tv. Il dipartimento suggerisce anche il lessico da usare.
Il mercato dei media in Cina è in espansione: i quotidiani sono più di duemila, quasi quattrocento le televisioni, più di cento le radio. Controllare tutto è impossibile, e a Pechino se ne sono resi conto: “Da più di vent’anni ormai, il controllo politico e ideologico sui media da parte del Partito si è allentato, grazie in particolare allo sviluppo di Internet”, spiega De Giorgi. Diversamente da buona parte del resto del mondo, in Cina i giornali si vendono e vengono letti: nel 2010 il giro d’affari del settore stampa ha raggiunto i 50 miliardi di dollari, cresce a ritmi indicibili, quasi il 14 per cento l’anno. Il governo gonfia il petto e dà i numeri del successo: “Ben venticinque nostri quotidiani sono presenti nella classifica dei 100 giornali più letti al mondo”, ha detto orgoglioso Liu Binjie, direttore dell’ufficio che si occupa di stampa a Pechino. “Puntiamo a fare della carta stampata un pilastro del sistema industriale cinese”, ha aggiunto sempre più tronfio.
E’ il Web, però, a essere il campo preferito dai più giovani, i cosiddetti netizens (erano 384 milioni nel 2009), che “costituiscono la fetta più attiva dell’opinione pubblica”, dice De Giorgi, anche se questo tipo di attivismo civile in rete “coinvolge una minoranza, per quanto si tratti di milioni di persone”, aggiunge. Sono circa duecento milioni i cinesi che hanno una connessione Internet, che navigano, che cercano di capire come va il mondo senza dipendere dalle censure del Partito. Tentano di sfuggire ai filtri che il governo mette ai motori di ricerca sul Web – a settembre, quando il futuro presidente Xi Jinping era sparito dalla scena per settimane, ufficialmente per un movimento maldestro durante una nuotata, non era permesso inserire nei google cinesi le parole “back injury”, infortunio alla schiena – usano formule e filastrocche per non passare guai.
Quel “giovane ignorante”
Anche “la satira, in particolare sul Web, è un canale significativo per espressioni di dissenso e critica sociale, ma anche inevitabilmente politica”, spiega De Giorgi. Ne sa qualcosa Han Han, il blogger più famoso di Cina: trent’anni, scrittore e pilota di rally, dal 2006 ha aperto un blog (uno dei 180 milioni nel paese) che colleziona circa 400 milioni di visite l’anno. Linguaggio semplice e toni sarcastici, finora è sfuggito alla censura del Partito, anche perché ha evitato scontri diretti con il governo. “Giovane ignorante” è la definizione che gli ha affibbiato l’élite accademica cinese: la sua colpa più grave è di aver fatto calare le visite di siti un tempo cliccatissimi, come quello del vicepremier Wang Qishan.
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