La prepotenza degli uguali

La setta di Grillo raccontata dagli adepti sedotti e traditi

Marianna Rizzini

In principio era l’utopia-profezia di Gianroberto Casaleggio, spin doctor di Beppe Grillo, esperto di e-commerce e autore di due video apocalittici e catartici, intitolati “Gaia” e “Prometheus”: democrazia diretta, niente deleghe, nuova guerra mondiale che spazza via tutto, avatar che vivono nella rete al posto nostro, voto senza volto, reale e virtuale confusi, clic parossistico, macchina del tempo che diventa possibile, battaglia di Waterloo combattuta su “Second Life”, informazione diffusa, sincretismo mistico-ecologico, governo mondiale dei signori nessuno, potere parcellizzato (e senza controllo) dopo la distruzione di tutto, Colosseo compreso. Pareva già vagamente roba da setta, ma solo in teoria.

    Roma. In principio era l’utopia-profezia di Gianroberto Casaleggio, spin doctor di Beppe Grillo, esperto di e-commerce e autore di due video apocalittici e catartici, intitolati “Gaia” e “Prometheus”: democrazia diretta, niente deleghe, nuova guerra mondiale che spazza via tutto, avatar che vivono nella rete al posto nostro, voto senza volto, reale e virtuale confusi, clic parossistico, macchina del tempo che diventa possibile, battaglia di Waterloo combattuta su “Second Life”, informazione diffusa, sincretismo mistico-ecologico, governo mondiale dei signori nessuno, potere parcellizzato (e senza controllo) dopo la distruzione di tutto, Colosseo compreso. Pareva già vagamente roba da setta, ma solo in teoria. Non sembrava ancora la promessa di una felicità cupa nel mondo post ideologico, perché l’altra faccia dell’utopia anche un po’ totalitaria (con quell’“uno vale uno” che diventa “uno vale più degli altri” in base all’influenza sulla rete) erano i “vaffa” di un Beppe Grillo ancora comico e non ancora torvo come l’alchimista davanti all’esperimento che non deve sfuggire di mano. Ma ora Grillo parla davvero come un video di Casaleggio – da sacerdote catastrofista anche se in formula esemplificata “for dummies” (voglio la democrazia diretta e la fine dei partiti). Ora i suoi sono al governo a Parma e vittoriosi in Sicilia. Ora Grillo è il più pesante sul Web, al di sopra degli “influencer” misteriosi che veicolano il suo messaggio nei siti vicini e lontani, prodigo di scomuniche contro chi, pur allineato nella sostanza (“vogliamo bene al Movimento”, è “un appuntamento con la storia”, dicono anche gli eretici del M5s), fa qualcosa di non allineato nei fatti (Federica Salsi ora come prima Giovanni Favia e Valentino Tavolazzi). Fuor di nuotata futurista, Grillo scrive vademecum, e nel Movimento il terreno vacilla. Qualcosa non torna nel “sogno”, come lo chiama la stessa Salsi in pieno ostracismo e rischio “Scientology” (così ha detto, anche se Scientology dice d’essere “diversissima” da Grillo).

    Riunione delle donne a Roma
    L’atmosfera, nel Movimento, è da day-after nonostante i successi elettorali. L’idea è di tenere a bada “l’errore” prima che dilaghi, come diceva martedì sera, al Caffè Letterario di Roma, una delle autoconvocate “donne per Beppe Grillo”, giunte dai vari municipi per parlare di un problema emerso, a sorpresa, nella terra del tutti uguali per forza: “Le donne sono sottorappresentate”, dicevano le attiviste, determinate a chiedere “la quota rosa” per arginare la “prepotenza” dei colleghi uomini, mentre il locale, pronto per una serata-tango, si animava di aperitivisti solitari e studiosi di cinematografia noir (in riunione al tavolo accanto, con molte birre e qualche sosia di Nero Wolf). No telecamere, dicevano le signore a una videocronista, “scriviamoci da sole gli articoli”, “troviamo dei portavoce”. “Dobbiamo essere sempre presenti”, dicevano le più esperte, posando le buste della spesa e chiedendo a se stesse “più assertività” – io ho due bambini, sbottava una, non riesco ad andare a tutti i banchetti per strada e quelli, gli uomini, pensano di farmi fuori. “Non esiste che mi considerino cittadina ‘non attiva’, ma scherziamo?”, diceva un’altra, temendo ricaschi sul meccanismo di formazione e voto delle liste per il Parlamento. “Vi siete fatti le pulci?”, si informava una terza, preoccupata dell’azione dei “certificatori”.

    Il problema infatti, nel M5s, ora, è proprio il “meccanismo” (solo chi si è già candidato e non è stato eletto potrà candidarsi alle politiche), meccanismo deciso da Grillo e Casaleggio in nome del “non possiamo ritrovarci in lista Toto u’ curtu” – ma è un qualcosa che non si accorda con l’idea originaria del tutti candidati a tutto, un qualcosa che va nella direzione del “no” ai talk-show: impedire manu militari la formazione di una classe dirigente nel momento in cui chi ha l’esperienza potrebbe giocarsela, impedire figuracce, frustrare l’euforia del newcomer che sperava nel riscatto eterno del Web contro i figli del potere (da linciare all’occorrenza con un post). Si sapeva che il “riscatto” sarebbe stato a tempo, due mandati, ma vedere la strada sbarrata è un’altra cosa: ora che faccio?, è portato umanamente a chiedersi anche il movimentista a Cinque stelle (come tutti) dopo aver fatto politica locale. Avanti non si può andare, secondo le “regole” di Grillo, almeno non in prima linea, bisogna ricacciare l’ambizione nell’ombra, come se questo fosse davvero l’universo dei tutti uguali e tutti buoni che non hanno desideri per sé, ma solo per la collettività (alla faccia delle utopie totalitarie sconfitte dalla storia). All’attivista già passato per le istituzioni resta un futuro da “ex”, come nei reality-show, ma senza tv, bestia nera del Grillo già televisivo.

    Eppure gli attivisti che discutono non rinnegano. Il Movimento non si tocca. Le “regole” sulle candidature, per esempio, non piacciono a Pietro Vandini, consigliere comunale di Ravenna che ha postato su YouTube un video in cui dice: al momento restringere il bacino è un fatto “positivo”, non c’era tempo, ma il metodo migliore era un altro. Si poteva, dice, aprire in “modo totale” ma “sul piano territoriale”, facendo prima incontri “a livello regionale” e poi “valutando” le persone in rete, senza “bypassare gli eletti”. Così si rischia di far entrare nelle liste gente che magari è “sparita” dopo essersi candidata, dice Vandini, definendo il metodo “poco efficace”: si parla di “Camera e Senato”, non del torneo alla “bocciofila”. Ma non si rifiuta il “padre” (padrone?) Beppe Grillo. Valentino Tavolazzi, “licenziato” via blog da Grillo a inizio 2012, per aver partecipato a una riunione a Rimini malvista da Grillo e Casaleggio, dice che continuerà ad agire sul territorio. Non può usare il logo a Cinque stelle ma non gli importa. Dice che lo statuto-nonstatuto prevede che l’indirizzo politico del Movimento “resti in capo alla rete” e che, per i criteri di candidatura alle liste elettorali, si poteva procedere con discussione e voto in rete “come fanno i Pirati tedeschi, usando la piattaforma liquid feedback”. “Sbagliato l’ostracismo anti-Salsi”, dice Tavolazzi, e “diseducativo”, perché “aizza le folle alla lapidazione”. Per non parlare dell’atteggiamento dei colleghi della consigliera, giudicata (da Grillo e dai seguaci più realisti del re) colpevole di apparizione a “Ballarò”: sono cose “che nulla hanno a che fare con lo spirito del M5s, Salsi deve essere giudicata dai cittadini che l’hanno votata”. Tavolazzi è stanco del clima “da post scriptum che delegittima gli eletti e favorisce la casta, che in Emila è il Pd”, dice ricordando il suo caso, quello del consigliere regionale Giovanni Favia, ripreso per un fuorionda, e quello di Andrea Defranceschi, altro consigliere “sgridato” per il sostegno ai lavoratori dell’Unità (viene prima, per i vertici Cinque stelle, il niet al finanziamento pubblico ai giornali). Tavolazzi non vede perché non si possa essere critici pur “volendo bene al movimento”, e perché non ci si possa chiedere: “Siamo preparati per il Parlamento? Quali sono i nostri processi formativi per mettere in condizione i nostri eletti di svolgere il ruolo al meglio? Abbiamo realizzato nel M5s la democrazia diretta promessa agli elettori?”.
    L’unico che tace (a parte una lettera al Corriere, mesi fa) è Casaleggio – e uno se l’immagina nell’oscurità, con quella strana permanente naturale in testa e l’espressione da gatto (infatti adora i gatti).

    • Marianna Rizzini
    • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.