Bazoli, Rcs e la fu superbanca

Stefano Cingolani

Il matrimonio tra Intesa e Unicredit è rinviato. Una settimana fa Massimo Mucchetti sul Corriere della Sera aveva lanciato la palla in avanti, ma ieri ha scritto che la partita non si può giocare per impraticabilità del campo. Giovanni Bazoli, presidente di Intesa, si tira indietro: lui non ha ispirato l’idea né la notizia (vera o presunta). Il consigliere delegato Enrico Cucchiani cita Shakespeare: “Tanto rumore per nulla”. Fabrizio Palenzona, vicepresidente di Unicredit, smentisce. Il top manager, Federico Ghizzoni, parla di “follie”.

    Roma. Il matrimonio tra Intesa e Unicredit è rinviato. Una settimana fa Massimo Mucchetti sul Corriere della Sera aveva lanciato la palla in avanti, ma ieri ha scritto che la partita non si può giocare per impraticabilità del campo. Giovanni Bazoli, presidente di Intesa, si tira indietro: lui non ha ispirato l’idea né la notizia (vera o presunta). Il consigliere delegato Enrico Cucchiani cita Shakespeare: “Tanto rumore per nulla”. Fabrizio Palenzona, vicepresidente di Unicredit, smentisce. Il top manager, Federico Ghizzoni, parla di “follie”. Ma sebbene tutto ciò sembri folle, c’è del metodo in questa follia, avrebbe detto il Bardo. E Mucchetti ha ragione nel ritenere che siamo solo all’inizio. La posta è “mettere in sicurezza” le due prime banche italiane, tuttavia dietro c’è l’eterna questione delle partecipazioni sensibili custodite nelle loro casseforti: Mediobanca, Generali, Telecom e il Corriere della Sera, il giornale della borghesia. Tutto comincia un mese fa, quando Giuseppe Vita, presidente di Unicredit, non esclude (anche se non è in agenda) una separazione tra le attività italiane e quelle estere, filiali ricche di profitti in Turchia, Polonia, Austria e, soprattutto, in Germania dove Hypovereinsbank ha prodotto due miliardi di utili. Vita ha fatto carriera in imprese tedesche, presidente del colosso farmaceutico Schering e di Allianz Italia (azionista di Unicredit). Scatta subito il riflesso condizionato: Angela Merkel rivuole indietro il “maltolto”. E’ chiaro che uno spin-off metterebbe il ramo internazionale in mani teutoniche, quanto meno nella gestione.

    In Unicredit è entrato a gennaio Francesco Gaetano Caltagirone, unendosi a industriali come Leonardo Del Vecchio fustigatore dei salotti buoni. Mentre il fondo sovrano di Abu Dhabi, chiamato Aabar e domiciliato in Lussemburgo, primo azionista singolo, ha scelto per rappresentarlo sulla poltrona di vicepresidente dell’istituto di piazza Cordusio, niente meno che Luca di Montezemolo. Grandi manovre in corso, tutti piazzano le pedine. Proprio mentre la matassa della finanza italiana rischia di essere sbrogliata dalle mani sbagliate: la magistratura, la politica, raider interni ed esteri. I barbari non sono alle porte, ma dentro le mura. Unicredit rinazionalizzata è troppo debole per tenere in mano direttamente o indirettamente Mediobanca e i suoi satelliti, senza contare le Generali. Ne era convinto anche Cesare Geronzi, ma è stato sconfitto.
    Tutto ciò avviene (ed è un classico) a pochi mesi dalle elezioni, mentre non esiste un chiaro assetto né di destra, né di sinistra e tanto meno di centro. La Vigilanza bancaria sta per passare alla Bce. Quella sulle assicurazioni è già in Banca d’Italia la quale possiede il 4 per cento delle Generali. Un conflitto da risolvere, ma vendere la quota che fa capo al fondo pensioni di Via Nazionale significa far franare il precario equilibrio sul quale si regge il Leone di Trieste. E la logica di sistema impedisce che avvengano ribaltoni, terremoti, men che meno rivoluzioni. In questo scenario da cambio di stagione, si inseriscono anche le Fondazioni di origine bancaria. Considerate per troppo tempo mucche da mungere, stanno finendo il latte. Hanno impiegato tante risorse per sostenere le banche. Sono entrate nella Cassa depositi e prestiti e adesso il Tesoro chiede altri quattrini (la quota acquisita a un valore pro forma di un miliardo di euro oggi viene stimata almeno quattro volte tanto). Mentre anche per loro incalzano le elezioni. Giuseppe Guzzetti (una delle teste più lucide del sistema) al vertice della Cariplo prima azionista di banca Intesa, è considerato intoccabile. Ma nelle altre fondazioni, che hanno dentro esponenti degli enti locali, tutto può accadere. E’ il momento di chiudere le porte.

    L’idea del grande arrocco pone subito enormi problemi di concorrenza e l’Antitrust drizza le antenne. Se è Unicredit a comprare, il dossier passa a Bruxelles, se avviene il contrario resta italiano. Le due banche sono quasi gemelle e la fusione vìola la concorrenza. Gli sportelli sovrapposti non si contano, bisognerebbe smontare le aziende. Anche la Banca d’Italia è in allerta. Il suo cruccio è la stabilità e da questo punto di vista una fusione metterebbe al riparo da scalate ostili. Tuttavia, gli uomini di Ignazio Visco sono preoccupati da eccessive concentrazioni che danno tanto potere, ma poca efficienza, moltiplicano il rischio sistemico e amplificano l’azzardo morale.
    La politica ci mette lo zampino molto più velocemente di quel che non si dica. Montezemolo per ora non si presenta alle elezioni, però sostiene la marcia verso la Terza Repubblica. Diego Della Valle ha lanciato la sfida a John Elkann, a Sergio Marchionne, alla Fiat insomma, sul controllo del Corriere. Montezemolo lo ha bacchettato, ma il loro sodalizio non s’è incrinato. Nel consiglio Rcs siede anche Vita. In Mediobanca l’inchiesta sull’operazione Ligresti va avanti, aprendo spazi per nuove e vecchie volpi rimaste sull’uscio di Via Solferino. Un giornale non fa profitti in Italia, il suo valore si chiama influenza. Bazoli è stato il salvatore della Rizzoli e il garante dei suoi equilibri. E oggi è convinto che sia più al sicuro dentro Intesa. Chissà che cosa ne pensa Mario Monti che al Corriere si è sempre sentito di casa. Certo, per l’antico tempio laico sarebbe un bel salto nel mondo della finanza cattolica. Ma quando anche i liberali si convertono all’economia sociale di mercato, tutto può accadere.