Aria di golpe

Grillo stuzzica il Quirinale, i suoi litigano a Ponte Milvio

Marianna Rizzini

Beppe Grillo dice “golpe” (non gli piace il cambiamento della legge elettorale che si profila all’orizzonte, con tetto per il premio di maggioranza al 42,5 per cento), chiama in causa la Ue (“forse ci darà una multa per divieto di sosta a Montecitorio”) e il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano (“non ci dorme la notte”). Dice “c’è del marcio a Bruxelles”, e su questo, almeno, ricompatta i seguaci, in questi giorni in subbuglio. Perché per loro, i seguaci, è come svegliarsi la mattina e trovare la casa col soffitto sotto ai piedi e il pavimento sopra la testa.

    Roma. Beppe Grillo dice “golpe” (non gli piace il cambiamento della legge elettorale che si profila all’orizzonte, con tetto per il premio di maggioranza al 42,5 per cento), chiama in causa la Ue (“forse ci darà una multa per divieto di sosta a Montecitorio”) e il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano (“non ci dorme la notte”). Dice “c’è del marcio a Bruxelles”, e su questo, almeno, ricompatta i seguaci, in questi giorni in subbuglio. Perché per loro, i seguaci, è come svegliarsi la mattina e trovare la casa col soffitto sotto ai piedi e il pavimento sopra la testa: il Movimento 5 stelle si è accorto che la realtà va oltre il clic (umane ambizioni comprese), che l’esercito dal basso ha le sue magagne e che l’iper democrazia, o ciò che è venduto con furbizia come tale, può diventare a sorpresa una mezza dittatura – e non si capacita.
    Attenzione, qui si finisce male, ha detto giovedì sera la consigliera comunale Federica Salsi, scomunicata da Beppe Grillo per una comparsata a “Ballarò”, in un fuorionda di “Servizio Pubblico” (aveva già parlato di rischio setta alla Scientology a Bologna, in aula). Salsi è preoccupata per la deriva autoritaria che contraddice la regola “dell’uno vale uno”, ma la parola Scientology non descrive quello che c’è sotto la parvenza di stregoneria: Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio, visto il curriculum (l’uno da comico, l’altro da esperto di e-commerce) sono prima di tutto impegnati in una molto studiata “operazione utopia” cha ha perso l’iniziale vena beffarda dei “vaffa-day” per virare verso l’attuale cupezza dell’esperimento megalomane che propone alle masse la felicità perduta, non più vagheggiabile al seguito di un’ideologia (il grido anticasta, per Grillo, a questo punto, è solo il drappo rosso agitato davanti al toro).

    La Comune di Parigi e il monarca Vendola
    Che cos’è davvero il modello Grillo?, si chiedono qua e là anche i seguaci di Grillo.  A Carlo Formenti, giornalista di formazione marxista, docente universitario di Teoria e tecnica dei nuovi media e firma della rivista Alfabeta 2, di fronte al modello Grillo, viene da pensare, per alcuni versi, “alla Comune di Parigi”: “Per esempio per quanto riguarda la responsabilità dell’eletto, la sua revocabilità” (parzialmente rivista da Grillo nelle sacche della spaccatura bolognese tra grillini pro Salsi e anti Salsi) e la “retribuzione ridotta a livello di quella di un impiegato”. Tutte cose che, dice Formenti, “suonano familiari alle orecchie della sinistra classica”. Ma sulla “praticabilità o meno dell’utopia, ci sono due livelli su cui ragionare: da un lato la crisi del sistema rappresentativo, con quel 53 per cento di astensione in Sicilia, che mette all’ordine del giorno, al di là di Grillo, la riflessione sulle forme di democrazia alternativa che possano riaccendere l’interesse per la politica; dall’altro la contraddizione interna tra principi enunciati e fatti, che rimanda alle caratteristiche della rete come medium”.

    Il cosiddetto “popolo della rete”, dice Formenti, ha uno “strato originario fatto da una classe creativa che ha contribuito a sviluppare l’utopia della democrazia diretta. Ma questo strato sociale è atomizzato, non ha nulla a che fare con la classe operaia o con la vecchia middle class. Cerca di trovare unità e identità attraverso la rete, ma la rete, mentre favorisce l’orizzontalità, crea la concentrazione di potere. Succede anche con Nichi Vendola: il potere carismatico, le ‘fabbriche’, il messaggio sul Web, il rifiuto del verticismo gerarchico che l’ha portato fuori da Rifondazione. Però poi agisce come un monarca”. A Roma come a Milano i Cinque stelle si riuniscono per bloccare infiltrazioni in lista dei “soliti furbi”, ma soprattutto per la ragione opposta: cercare di allargare le maglie strette da Grillo. (segue dalla prima pagina)

    A Bologna domani è prevista una riunione tra eletti, cittadini e attivisti presentata come “normale attività di confronto”, non aperta alla stampa, ma tutti aspettano l’incontro, a rischio rinvio, in cui si parlerà del caso Salsi (“ma chi ne vuole le dimissioni”, dicono, “è in minoranza”). Beppe Grillo, intanto, come contentino per i cahier de doléances scritti in uno, cento, mille post sui forum, ha pubblicato sul suo sito un avviso supplementare sulle “regole” di candidatura alle elezioni politiche: anche i territori che finora non hanno espresso liste potranno presentare qualcuno, dice la nuova legge Grillo-Casaleggio, ma questo qualcuno deve risultare già iscritto al M5s al 31 dicembre 2011. “Effettuare il login”, compilare “il form” e aspettare notizie, è l’indicazione.

    Ma, con il detonatore di quella frase – il rischio Scientology – il malcontento per i paletti alla candidatura libera, sogno revanscista per chi si sentiva tagliato fuori a prescindere dai luoghi riservati ai potenti e a quelli che Grillo chiama “morti viventi”, si fa grande mugugno collettivo. Si solleva dal terreno di base, i forum dei “meet-up”, per farsi carne e ossa: ecco gli attivisti romani che discutono, tra le altre cose, di “moralità”, seduti in tondo, ripresi da una telecamera e postati sul sito a Cinque stelle della capitale – signore e signori di mezza età, molti baffi, qualche capello bianco, cavilli su cavilli che rendono ancora più duro lo scontro con l’assemblearismo compulsivo, l’altra faccia della smaterializzazione internettiana pensata da Casaleggio. Ed ecco la diretta di gruppo sulla cosiddetta “tv del Movimento”, visibile su YouTube, ognuno di sera si autoriprende dal proprio pc, ragazzotti e ragazze in cucina, in salotto o in camera da letto (si capisce poco, si vede sullo sfondo qualche armadio, qualche soffitto, una pentola): buonasera sono Gennaro da Napoli, Marco da Catanzaro, Daniele da Arezzo, Salvo da Milano, dicono gli attivisti presentandosi con inquadrature sghembe e ravvicinate, da specchio deformante al luna-park. Poi arriva una consigliera comunale piemontese (inquadrata bene) che parla di appalti e sventate manovre familistiche, e la discussione risentita sulle regole per le candidature viene soffocata dall’orgoglio di essere “sul treno in corsa” (ma il treno è di Grillo).

    Eppure la palingenesi via Web, nucleo di ferro dell’utopia Grillo-Casaleggio, sembra più lontana a chi abita le retrovie del Movimento. La democrazia diretta senza quorum mostra, a partire dai vademecum di Grillo, il suo lato potenzialmente oligarchico e la speranza di una nuova ricchezza nel mondo sempre più povero, ottenuta con raccolta differenziata, pannello solare, impegno certosino sul chilometro zero e “teletrasporto delle idee” (Grillo tra un po’ parlerà con i lampioni e con le stampanti), non sembra più il miraggio senza macchia. La realtà vera, agli occhi dell’attivista oggi un po’ sgomento, pullula di fantasmi come di fuorionda in cui cadere – ma Michele Santoro l’ha spiegato: per far dire a un grillino qualcosa di critico bisogna nascondere la telecamera. “Il Movimento ha due facce, una che brilla, l’altra no”, non è “normale” avere tutto questo timore di esprimere le proprie opinioni, ha detto Federica Salsi, e gli attivisti a Cinque stelle meno allineati sembrano improvvisamente consapevoli del percorso a ostacoli che si frappone fra il mouse del computer e l’Eldorado immaginato. A Roma si registrano spaccature tra gli attivisti della zona di Ponte Milvio e nel Primo municipio; a Milano, due sere fa, racconta Giovanni, grillino milanese che accetta di farsi chiamare “grillino” nonostante le istruzioni alla stampa diramate da Beppe, “ci si è accapigliati per le regole di candidatura alle regionali, dove i paletti non sembravano stretti come per le liste nazionali”. Per le regionali lombarde, infatti, c’è chi pensava di aprire anche ai non iscritti, “con conseguenze immaginabili”, dice il grillino: “Anche se questi ipotetici candidati avranno la fedina penale pulita, chi ci assicura che non siano dei furbastri allettati dallo stipendio, seppure decurtato? Sempre meglio che fare i precari a ottocento euro al mese: c’è tanta gente che lo pensa, perché non dovrebbe provare la scalata al M5s?”.

    C’è chi dissente da Grillo in modo educato, quasi impercettibile, come il consigliere comunale parmense Marco Bosi, che qualche giorno fa ha scritto sul suo blog: “… Si è fatto un gran parlare dell’opportunità o meno degli eletti a 5 stelle di partecipare ai talk-show. Beppe invitò a non andare durante l’ultimo tour elettorale dal palco e ci ripeté la stessa cosa a cena. Non lo conoscevo bene, ma ebbi la sensazione che quello non fosse un diktat come scrisse qualcuno, ma un consiglio di una persona che credeva molto in ciò che diceva. Ma nonostante questo non condividevo e non condivido tutt’ora… la televisione ha ancora una grandissima importanza come mezzo di comunicazione. Ricordo che nelle settimane prima del voto di Parma valevamo sì e no il cinque per cento. Poi arrivò il nostro successo che fece parlare tanto di noi. Improvvisamente la televisione aveva scoperto che esisteva anche il Movimento 5 stelle. Tempo un mese e il movimento era vicino al venti…”. E c’è chi, tra gli attivisti, con una punta di amarezza dice: “Cerco di guardare la meta, non il percorso. Dobbiamo arrivare in Parlamento? Beh, io incrocio le dita. Non condivido le ultime scelte di Beppe, ma voglio guardare il bicchiere mezzo pieno”. Tanto per ora le correnti sono impossibili, con il Grillo burattinaio che tiene tutti da lontano con un filo.

    • Marianna Rizzini
    • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.