Lamento di un padre nevrotizzato dalla trappola della scuola moderna

Annalena Benini

Al milionesimo manuale su come moltiplicare le capacità intellettive dei vostri figli, su come insegnare l’importanza del danaro, a partire dai sei mesi di vita, alla trecentesima madre che dice di affrettarsi con l’iscrizione al corso di teatro, non si può nascondere la tentazione di urlare: basta. Soprattutto vedendoli, questi ragazzini, la mattina, piccoli, curvi e un po’ tristi sotto il peso di zaini immensi (lode a chi ha introdotto il trolley da scuola), pieni di libri, quaderni, fotocopie, avvisi, proposte per utili pomeriggi di studio, inviti a feste di compleanno.

    Al milionesimo manuale su come moltiplicare le capacità intellettive dei vostri figli, su come insegnare l’importanza del danaro, a partire dai sei mesi di vita, alla trecentesima madre che dice di affrettarsi con l’iscrizione al corso di teatro, non si può nascondere la tentazione di urlare: basta. Soprattutto vedendoli, questi ragazzini, la mattina, piccoli, curvi e un po’ tristi sotto il peso di zaini immensi (lode a chi ha introdotto il trolley da scuola), pieni di libri, quaderni, fotocopie, avvisi, proposte per utili pomeriggi di studio, inviti a feste di compleanno. Scrive A. A. Gill, il critico del Sunday Times, su Vanity Fair Usa di dicembre, che a sei anni la felicità è già alle spalle, rottamata, i momenti migliori dei figli sono passati, perché li stiamo allevando per il successo. Padre di quattro ragazzi, due maschi e due femmine, una all’ultimo anno di college, uno in giro per l’Asia a farsi tatuaggi, e due alle elementari, dice che l’infanzia è diventata una guerra di logoramento, e la scuola una trappola. “Dopo aver speso una grande quantità di denaro per educare i primi due figli, mi sono reso conto che non ho imparato niente. Ma nessuno di noi ha idea di quello che stiamo facendo. Io sto ai cancelli della scuola e guardo la paura negli occhi di altri padri”. Paura che i figli non siano all’altezza, che i compagni imparino la poesia a memoria più in fretta e giochino meglio a minibasket.

    Secondo Gill è colpa nostra: trasmettiamo ai nostri figli la nevrotica paura del fallimento, lasciamo che assorbano le nostre surreali discussioni intorno alle migliori scuole elementari in cui iscriverli, come se solo la giusta scuola (anzi sezione migliore della scuola migliore) preparasse alla giusta università e quindi a una vita degna di essere vissuta. A essere sinceri, alle festine di compleanno (con animatore, meglio se famoso per la sua intelligenza) le madri non parlano d’altro: metodo francese, scuola americana, scuola pubblica solo con la garanzia che ci sia quella maestra bravissima di cui parlano tutti. La bambina sta soffiando su quattro candeline tremolanti, la madre è angosciata per il suo futuro, ha paura di sbagliare (sarà meglio la ginnastica ritmica o il violino?), e la canzoncina di compleanno viene cantata in otto lingue, fino a che un bambino esasperato distrugge la torta con una manata, così che le altri madri possano coltivare una segreta soddisfazione ritenendo quel bambino non abbastanza seguìto e stimolato. “Abbiamo bisogno di ragazze au pair che parlino tre lingue e bambinaie musicali e atleti professionisti con problemi al ginocchio per insegnare il coordinamento occhio-mano. Abbiamo bisogno di ortodontisti e insegnanti di yoga e allenatori vocali e maestri di judo. Campi di scrittura creativa e di tennis e istruttori di nuoto e strateghi per gli esami. Analisti e nutrizionisti e logopedisti. Dobbiamo fermare tutto questo. Io non ce la faccio più. Non posso affrontare il prossimo decennio avendo conversazioni su attività extra-scolastiche e tutor. E non posso andare avanti a fingere falso interesse sorridente per i risultati dei bambini degli altri, mentre covo un sordo risentimento per i loro successi”. Dovrebbero essere gli anni più spensierati e curiosi, per i nostri figli, e noi li stiamo riempiendo di competizione, senso di colpa, snobismo, paura, stress. Per il loro bene, è ovvio.

    • Annalena Benini
    • Annalena Benini, nata a Ferrara nel 1975, vive a Roma. Giornalista e scrittrice, è al Foglio dal 2001 e scrive di cultura, persone, storie. Dirige Review, la rivista mensile del Foglio. La rubrica di libri Lettere rubate esce ogni sabato, l’inserto Il Figlio esce ogni venerdì ed è anche un podcast. Ha scritto e condotto il programma tivù “Romanzo italiano” per Rai3. Il suo ultimo libro è “I racconti delle donne”. E’ sposata e ha due figli.