E adesso boom!

Il Pdl va nel pallone e la Lega saluta, Maroni corre in Lombardia

Salvatore Merlo

“Angelino, dovresti chiedermi di tornare in campo”. Giovedì si aspettava che Alfano lo pregasse di ricandidarsi a Palazzo Chigi e invece niente, anzi, il segretario del Pdl, intervistato da Lucia Annunziata, domenica, lo ha paragonato a Eugenio Scalfari, il fondatore che ancora scrive, ma solo la domenica. Sospeso tra lo sfasciare tutto e il mollare tutto, Silvio Berlusconi in privato alterna accenti di battaglia a toni di resa, ad Arcore ieri ha ricevuto il misterioso Gianpiero Samorì, promettendo sfracelli, mentre, allo stesso tempo, il Cavaliere osserva anche amletico e forse stupefatto il processo di educazione sentimentale delle sue creature, le “zucche”, il partito e il segretario Angelino Alfano.

    Roma. “Angelino, dovresti chiedermi di tornare in campo”. Giovedì si aspettava che Alfano lo pregasse di ricandidarsi a Palazzo Chigi e invece niente, anzi, il segretario del Pdl, intervistato da Lucia Annunziata, domenica, lo ha paragonato a Eugenio Scalfari, il fondatore che ancora scrive, ma solo la domenica. Sospeso tra lo sfasciare tutto e il mollare tutto, Silvio Berlusconi in privato alterna accenti di battaglia a toni di resa, ad Arcore ieri ha ricevuto il misterioso Gianpiero Samorì, promettendo sfracelli, mentre, allo stesso tempo, il Cavaliere osserva anche amletico e forse stupefatto il processo di educazione sentimentale delle sue creature, le “zucche”, il partito e il segretario Angelino Alfano, cioè quei tentacoli che ora si muovono in autonomia, dotati quasi di vita indipendente. Non era mai successo che il capo, presidente e padrone, si sentisse opporre un rifiuto su un aspetto decisivo che riguarda il futuro e la natura del partito-azienda. Per alcuni quello di Alfano è “tradimento” e ad Arcore, nella residenza lombarda del Cavaliere, questa parola ieri è stata maneggiata senza cautela. Per altri, i più, il “no” di Alfano è invece la prova della maggiore età politica del segretario, la scapigliatura di una classe dirigente che per vent’anni ha vissuto solo di luce riflessa. Alfano ha anche annunciato che cambierà il nome e il simbolo del partito. Decide lui. E il Cavaliere? Raccoglie truppe, ma non è sicuro di volerle usare. Così mentre il Pdl periclita sul filo della guerra intestina, nel caos la Lega annuncia che correrà da sola in Lombardia. E anche l’ultimo alleato possibile saluta e se ne va.

    L’avvenire lo tormenta, il passato lo trattiene, il presente rischia di sfuggirgli. Berlusconi arriva oggi a Roma e non ha ancora deciso nulla, lo governano umori che, mutevoli per natura, rendono il Cavaliere indecifrabile anche agli sguardi più famigliari, amichevoli, consentanei. Persino Daniela Santanchè, forse più berlusconiana dello stesso Berlusconi, dice che “la sua indecisione è devastante”, probabilmente non le piacciono nemmeno i nuovi amici del capo, forse quel Samorì che il Cavaliere la settimana scorsa ha quasi negato di conoscere ma che ieri ha invece ospitato, e per la seconda volta, ad Arcore. E poi: “Il presidente non è un uomo autoritario, cerca di essere persuasivo”, dice Santanchè. “Ma chi adesso pensa di poter fare a meno di lui è ridicolo. Il paragone con Scalfari non mi è piaciuto per niente”. E la pasionaria Santanchè si riferisce alla nuova onda del Pdl, al piglio autonomo assunto dal segretario Alfano e dai dirigenti che ieri si sono riuniti per discutere di quella legge elettorale di cui forse ormai solo Denis Verdini parla con il Cavaliere (Berlusconi è ancora contario alla riforma). Scarsi i contatti anche con i capigruppo, un tempo ufficiali di collegamento tra il leader e il Parlamento: sono sempre più rade quelle telefonate a Berlusconi che una volta avevano invece cadenza quotidiana.

    Nel Pdl si muovono ormai molte bande, armate le une contro le altre: c’è il partito di Alfano, ma poi ci sono i cani sciolti e c’è il Cavaliere che raduna truppe, uomini e donne che non si amano tra loro e non coltivano orizzonti nemmeno compatibili: le donne guerriero, le amazzoni fedelissime come Mariarosaria Rossi e Michaela Biancofiore; Santanchè con Flavio Briatore e il Giornale di Vittorio Feltri; l’oscuro e danaroso Samorì; il generoso Guido Crosetto; l’ambizioso Giulio Tremonti. Berlusconi parla con tutti loro, e li orienta un po’ tutti, ma nessuno di questi è solidale con l’altro, nessun gruppo condivide niente con l’altro, non sono nemmeno compatibili (e forse non vogliono esserlo) . “I leoni e le leonesse, nella savana del Kenya sono tanti, ma non vanno d’accordo”, conferma un vecchio amico di famiglia del Cavaliere, uno di quelli che osserva da dentro e da vicino i fatti di Arcore e di Palazzo Grazioli.

    Intanto i guai non vengono mai uno alla volta, ma precipitano tutti assieme, all’improvviso, con tremendo fragore. Roberto Maroni, spavaldo per necessità di fronte alle macerie della sua Lega e alla confusione che disorienta il Pdl, si è candidato alla presidenza della Lombardia. Gabriele Albertini, per adesso candidato del centrodestra e del Pdl, resiste e fa spallucce: “Me lo aspettavo, è un gesto coerente”. Ma qualcosa potrebbe succedere. Davvero il Pdl rinuncerà alla Lega? E se Alfano decidesse di sacrificare la regione dove il berlusconismo è nato e ha prosperato, il Cavaliere inquieto chinerà la testa, remissivo, o utilizzerà la Lombardia per dare inizio allo scontro interno e avviare così le pratiche per il divorzio dal suo partito? Il Pdl per Albertini, Forza Italia per Maroni. E boom!

    • Salvatore Merlo
    • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.