Il Pd lancia la sua esca

Claudio Cerasa

“Non ho ancora capito se sarà una lista, un movimento oppure un vero partito ma quello che ho capito è che adesso dobbiamo fare di tutto per iniziare da subito un percorso comune con la realtà politica che sabato prossimo nascerà a Roma con Luca Cordero di Montezemolo, Andrea Riccardi, Raffaele Bonanni e Andrea Olivero. Voglio dire, almeno con loro…”. La nostra conversazione con l’ex segretario del Partito democratico Dario Franceschini si interrompe non appena il cronista ascolta l’attuale capogruppo del Pd alla Camera utilizzare un’espressione che suona come un campanello d’allarme: “Almeno con loro…”.

    Roma. “Non ho ancora capito se sarà una lista, un movimento oppure un vero partito ma quello che ho capito è che adesso dobbiamo fare di tutto per iniziare da subito un percorso comune con la realtà politica che sabato prossimo nascerà a Roma con Luca Cordero di Montezemolo, Andrea Riccardi, Raffaele Bonanni e Andrea Olivero. Voglio dire, almeno con loro…”. La nostra conversazione con l’ex segretario del Partito democratico Dario Franceschini si interrompe non appena il cronista ascolta l’attuale capogruppo del Pd alla Camera utilizzare un’espressione che suona come un campanello d’allarme: “Almeno con loro…”. In che senso?  Il Pd di Pier Luigi Bersani (che Franceschini appoggia alle primarie) come è noto propone dal 2009 la necessità di presentarsi alle elezioni con la formula “progressisti più moderati”; ma considerati i ripetuti “no” ricevuti negli ultimi mesi dal leader dell’Udc, Pier Ferdinando Casini, rispetto all’offerta di presentarsi insieme alle urne, oramai il centrosinistra sembrava rassegnato a chiedere la mano del capo dei moderati non più prima, ma dopo le elezioni.

    Ora che però la galassia dei centristi è sul punto di allargare il suo spettro per includere la creatura che domani pomeriggio prenderà forma per la prima volta a Roma negli studi Elios di via Tiburtina, lo scenario per il centrosinistra potrebbe cambiare. Ed è proprio per questo che Dario Franceschini, in questo breve colloquio con il Foglio, prova a lanciare un appello al nuovo soggetto politico. “Il patto tra progressisti e moderati non può essere inteso solo come patto esclusivo tra il centrosinistra e Casini, è ovvio. Da oggi, per noi, ci sono anche altri interlocutori importanti, e dato che questi interlocutori per i progressisti possono essere alleati preziosi per presentarci alle elezioni con uno schieramento ancora più competitivo rispetto a quello di cui disponiamo già, noi adesso vorremo dialogare con loro”.

    Il ragionamento di Franceschini, figura del Pd oggi molto vicina al segretario, è legato naturalmente alle dure regole di ingaggio a cui saranno costretti i partiti qualora nelle prossime settimane dovesse davvero proseguire il suo percorso in Parlamento la famosa legge elettorale con premio di maggioranza per la coalizione fissato a quota quaranta per cento. Franceschini ritiene questo scenario “probabile” e per questo insiste nel considerare fondamentale allargare il più possibile il raggio d’azione del centrosinistra.

    “Le nostre proiezioni – confessa Franceschini – ci dicono che con la coalizione di cui disponiamo, e senza dunque l’appoggio dei moderati, oggi avremmo difficoltà a raggiungere la soglia necessaria per la governabilità, ed è per questo che dico con affetto a Casini che il tema delle alleanze non lo si può porre dopo le elezioni, ma lo si deve porre prima: perché senza raggiungere il quaranta per cento non è che si creano le condizioni per un altro governo Monti, ma si creano semplicemente le condizioni per arrivare al collasso e finire come la Grecia”.

    Da ex margheritino, Franceschini sa che nel centrosinistra non mancano osservatori critici, che fanno notare al Pd come il patto tra moderati e progressisti, in linea di principio, sia l’immagine plastica del fallimento del Partito democratico: un partito che cioè era nato per includere nel suo grembo sia i moderati sia i progressisti, e che ora di fronte all’incapacità di intercettare l’elettorato moderato è costretto a chiedere a qualcun altro di rappresentare quel mondo. L’ex segretario riconosce che il Pd negli ultimi anni ha “sottovalutato le conseguenze reali che avrebbe provocato la fine del berlusconismo” e ammette che una buona parte degli elettori moderati che probabilmente un domani si riconosceranno nella galassia centrista poteva essere rappresentata dal Pd. E proprio partendo da questa ammissione di colpa, Franceschini fa un passo avanti e spiega meglio il senso della sua proposta ai montezemolo-riccardiani. “La fase di transizione dal berlusconismo al post berlusconismo rischia di essere più lunga di quanto noi immaginavamo, e non essendoci un centrodestra responsabile è normale che oggi il centro possa avere un suo consistente e significativo spazio politico. In questo schema, dunque, il fatto che nasca un’area moderata e cattolica con la testa sulle spalle la trovo una notizia positiva e sono convinto che con questa creatura il centrosinistra dovrebbe fare di tutto per allearsi da subito”.

    A voler essere maliziosi, si potrebbe sospettare che la proposta Franceschini nasca non solo per allargare il fronte della coalizione ma anche per spacchettare anzi tempo la galassia montezemolian-casiniana e scongiurare così preventivamente la creazione di una specie di super lista Monti travestita da semplice e innocuo movimento politico. In realtà il capogruppo del Pd dice che il problema non si pone perché nel futuro di Monti sembrano esserci percorsi diversi da quelli di Palazzo Chigi. “Per il tipo di mandato che ha accettato di fare, credo che Monti non lascerà mai nascere una lista che porta il suo nome e al massimo accetterà che nasca un’area politica che si ispira alla sua esperienza – cosa che oggettivamente non può certo impedire. Detto questo l’ipotesi di un Monti bis non mi sembra che possa esistere per due ragioni. Primo: il presidente del Consiglio, a quanto mi risulta, ha altre intenzioni per il suo futuro. Secondo: se il prossimo anno non ci sarà una coalizione che risulterà vincitrice noi del Pd non formeremo mai più – ripeto: mai più – un’alleanza di governo con un centrodestra come quello rappresentato dalla coppia Pdl e Lega: e se non ci sarà un vincitore nel 2013 non ci sarà nessun governo tecnico ma si andrà a votare dopo sei mesi. Come la Grecia, appunto”. E Casini? “Lui ha fatto la sua scelta, e si prenderà le sue responsabilità. E non escludo che se dovessimo vincere le elezioni possa essere ancora nostro alleato, ci mancherebbe. Ma c’è solo una cosa che non capisco. Con quale credibilità il leader dell’Udc dice che non può allearsi con il Pd perché c’è Vendola quando, fino a qualche tempo fa, Casini era al governo con alleati non proprio raccomandabili come Bossi e Storace? Mi piacerebbe una risposta, grazie”.

    • Claudio Cerasa Direttore
    • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.