Operazione Pilastro di Difesa
Sirene d'allarme a Tel Aviv, la minaccia da Gaza arriva al centro d'Israele
La gente ha fermato le macchine, ha spalancato le portiere, è corsa verso il riparo più vicino, si è sdraiata lunga a terra, secondo le procedure imparate nelle esercitazioni che si fanno ogni anno, lontano da veicoli che diventano trappole se il missile colpisce in strada. Le sirene hanno suonato a Tel Aviv ieri per la prima volta dal 1991, quando arrivavano gli Scud lanciati da Saddam Hussein. Questa volta il tempo di preavviso prima dell’impatto, calcolato da computer che fanno migliaia di conteggi e tracciano infinite possibilità di traiettoria nel giro di decimi di secondo, è molto, troppo breve.
Roma. La gente ha fermato le macchine, ha spalancato le portiere, è corsa verso il riparo più vicino, si è sdraiata lunga a terra, secondo le procedure imparate nelle esercitazioni che si fanno ogni anno, lontano da veicoli che diventano trappole se il missile colpisce in strada. Le sirene hanno suonato a Tel Aviv ieri per la prima volta dal 1991, quando arrivavano gli Scud lanciati da Saddam Hussein. Questa volta il tempo di preavviso prima dell’impatto, calcolato da computer che fanno migliaia di conteggi e tracciano infinite possibilità di traiettoria nel giro di decimi di secondo, è molto, troppo breve, i missili partono dalla Striscia di Gaza, più in basso sulla costa, a 70 chilometri. Sono missili Fajr forniti dall’Iran, ne sono arrivati due al momento in cui questo giornale va in stampa, uno è caduto a Rishon Lezion, un sobborgo a 15 chilometri dal centro, l’altro è finito in mare, ma ci sono versioni contraddittorie, prima si è detto avesse colpito il quartiere di Holon, una zona con scuole e tanti studenti. Per anni si è discussa la possibilità che Hamas e gli altri gruppi di Gaza stessero acquistando metro dopo metro la capacità di tirare sulla seconda città di Israele, 400 mila abitanti, 3,4 milioni se si considera anche l’area abitata tutt’attorno, il cuore economico e demografico del paese. Non è più solo il sud, assuefatto al pericolo dal cielo, che pure in questi due giorni di operazione Pillar of Defence s’è fatto sentire, tre morti ieri mattina in uno stesso edificio centrato, 245 razzi e missili caduti (è un numero provvisorio, per dare un’idea generica sulla frequenza, il numero reale andrebbe aggiornato di ora in ora). La paura a Tel Aviv potrebbe essere l’elemento scatenante di un’offensiva di terra contro la Striscia e ieri il ministro della Difesa, Ehud Barak, ha annunciato il richiamo in servizio di 30 mila riservisti.
I missili che sono arrivati sopra o vicino la città sono Fajr 5, l’evoluzione messa a punto nel 2006 in Iran e da tecnici iraniani di un ordigno di dieci metri. Novanta chilogrammi di testata esplosiva, circa 75 chilometri di gittata, tenuti da parte dal Jihad islamico e da Hamas per i giorni della guerra totale.
Il lancio del Fajr 5 lega il potenziale offensivo dei gruppi della Striscia al grande sponsor, l’Iran. A metà settembre Marwan Issa, delle brigate al Qassam, ha viaggiato a Teheran e Beirut per incontrare i referenti che curano i rapporti (e danno istruzioni) con Hamas. Ieri proprio Issa è diventato il nuovo capo dell’ala militare del gruppo palestinese, dopo l’uccisione di Ahmed al Jaabari avvenuta mercoledì.
Lo strike contro al Jaabari con un drone mentre viaggiava dentro Gaza su un’automobile Kia è stato condotto secondo le regole d’ingaggio dell’esercito israeliano, che tentano di minimizzare le vittime civili. La Kia è semi intatta nella parte anteriore, indizio che probabilmente gli israeliani hanno usato un missile depotenziato, con una carica esplosiva ridotta e un raggio d’azione circoscritto, letale per gli occupanti del mezzo ma non per chi si trova nei paraggi. Ieri YouTube ha tolto dalla circolazione il video dello strike perché viola i termini del sito, e sembra strano considerata la violenza di altri filmati presenti, per esempio quelli che arrivano dalla Siria.
In trenta ore Israele ha colpito più di 250 bersagli definiti “terroristici”, legati alle attività di Hamas e degli altri gruppi della Striscia, e le vittime per ora sono quindici – nel dicembre 2008 l’operazione Piombo Fuso si era aperta con il bombardamento micidiale di una cerimonia in una scuola di polizia di Hamas che aveva causato decine di morti in pochi minuti. Questo non vuol dire che in queste ore non siano coinvolti anche civili: mercoledì una bomba israeliana ha colpito la casa di un giornalista arabo della Bbc che si occupa dei video per la rete inglese e ha ucciso il figlioletto di undici mesi.
Mentre i missili sparati dal Jihad islamico su Tel Aviv aumentano la probabilità di operazioni israeliane da terra, al Cairo il governo del presidente Mohammed Morsi, eletto dalle file dei Fratelli musulmani, tenta una mossa diplomatica difficile: oggi arriva a Gaza il primo ministro, Hishem Qandil, per negoziare con Ismail Haniyeh e altri leader di Hamas. Assieme all’apertura completa del valico di Rafah al confine con l’Egitto e al richiamo in patria dell’ambasciatore egiziano in Israele, è la risposta dei Fratelli musulmani che devono mostrarsi differenti dall’ex rais Hosni Mubarak ma allo stesso tempo non possono (ancora?) rompere le relazioni diplomatiche con Israele, tenute per ora assieme anche da una telefonata del presidente americano Barack Obama. Domenica arriverà a Gaza anche una delegazione del governo tunisino.
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