Mali tempi per i ricconi alla Briatore, meno male che c'è Santoro
Si è presentato in maglia nera a girocollo, vestito bluette e occhiali tono su tono, il che fa sorgere il dubbio che se avesse optato per un total black nulla lo avrebbe distinto da José Feliciano. Niente babbucce ricamate immortalate dal geniale Panariello. Niente telefonini su cuscino di raso ma iPad sulle ginocchia, risolutamente moderno. Quello che conta però è che il Flavio da Malindi nonché maestro di apprendisti simil-manager abbia tenuto botta per le due ore e mezzo del santoriano “Servizio pubblico”.
Si è presentato in maglia nera a girocollo, vestito bluette e occhiali tono su tono, il che fa sorgere il dubbio che se avesse optato per un total black nulla lo avrebbe distinto da José Feliciano. Niente babbucce ricamate immortalate dal geniale Panariello. Niente telefonini su cuscino di raso ma iPad sulle ginocchia, risolutamente moderno. Quello che conta però è che il Flavio da Malindi nonché maestro di apprendisti simil-manager abbia tenuto botta per le due ore e mezzo del santoriano “Servizio pubblico”, un tempo televisivo che pesa come un evo storico. Briatore sorride poco, rimane troppo a lungo ingrugnato, ha una faccia non si sa se da schiaffi o da poker, ma punge e sa difendersi. Non rinnega nulla della sua vita, ammette i peccati di gioventù quando biscazzava baricchiando e fu colto con il sorcio in bocca. Dice che chiunque può cadere, quello che conta è rialzarsi, uno come lui in America sarebbe un eroe. Luisella Costamagna ne ricorda le umili origini, la fatica fatta per emergere, le inchieste e i capi d’accusa, non mostra pietas e gli sta addosso, lui se ne sbarazza dandole della maestrina che non fa lavorare nessuno mentre lui sfama milleduecento famiglie per lo mondo. Travaglio lo investe “uno come lei in America non lo salutano nemmeno, non lo lasciano neanche entrare in un negozio” ed è lo stesso Santoro a difenderlo, in un gioco delle parti che è un po’ la chiave della stagione, perché se uno va in carcere ed è riabilitato qualcosa vorrà pure dire sennò dove va a finire la Costituzione. Alla signora Nunzia Penelope, economista scossa dal dilagare della povertà e da ricchi sempre più ricchi, si rivolge in malo modo, trucemente, le dà più o meno della cretina e le dice di non “rompere i maroni”. Qualche fischio in studio, ma non tanti quanti ci si poteva aspettare. Va meglio invece con Maurizio Landini, d’altronde non è facile prendersela con il capo della Fiom. Insomma sembrerebbe che Briatore, non si può dire che piaccia, ma di certo passa. Con tutte le cadute di stile, qualche truculenza e quell’insistenza fastidiosa a dividere l’universo in chi dà lavoro e chi chiacchiera.
Si comporta come il suo grande amico Silvio non si è mai nemmeno sognato eppure non viene seppellito da insulti e urla. Forse perché a ben guardare, tra i due, il più italiano è lui, incarna un successo più alla portata dell’uomo comune. Il Cav. nel bene nel male è un tycoon, un personaggio hollywoodiano cui solo l’ostinazione nel sogno ha permesso di vedere prima di altri e correre più lontano. Briatore invece è un personaggio da commedia all’italiana, è il Gassman di Scola che ha agito negli interstizi e si è fatto ricco, anche le malefatte di cui lo hanno accusato sembrano più a misura d’uomo, la truffetta e la barchetta esentasse. Ha detto che, Silvio o non Silvio, a scendere in politica non ci pensa proprio. E meno male: perché una cosa è la percezione di una vaga affinità genetica, un’altra è il voto. E con i tempi che corrono, di qualsiasi ricco il popolo farebbe una cosa sola: carne macinata.
Il Foglio sportivo - in corpore sano