Le signore in rosso
Non compaiono, non parlano, spuntano dalle quinte a intermittenza, non restano mai a lungo in piena luce. La signora Renzi (Agnese Landini) e la signora Bersani (Daniela Ferrari), non hanno nulla della first lady da prima linea alla Michelle Obama, anche se Matteo Renzi sogna per sua moglie “un ruolo pubblico”, ha detto un giorno, e anche se Pier Luigi Bersani di tanto in tanto ricorda agli amici che è sua moglie la vera “militante”. Ma, come sempre capita a chi dice di voler restare nell’ombra, le due signore sono in pianta stabile nel mirino di fotografi e pettegoli, che vadano a fare jogging o in profumeria.
Non compaiono, non parlano, spuntano dalle quinte a intermittenza, non restano mai a lungo in piena luce. La signora Renzi (Agnese Landini) e la signora Bersani (Daniela Ferrari), non hanno nulla della first lady da prima linea alla Michelle Obama, anche se Matteo Renzi sogna per sua moglie “un ruolo pubblico”, ha detto un giorno, e anche se Pier Luigi Bersani di tanto in tanto ricorda agli amici che è sua moglie la vera “militante”. Ma, come sempre capita a chi dice di voler restare nell’ombra, le due signore sono in pianta stabile nel mirino di fotografi e pettegoli, che vadano a fare jogging o in profumeria – ed ecco che capitano disavventure: la signora Bersani ha dovuto smentire sul Corriere della Sera di aver detto “lei non sa chi sono io” a una vigilessa che le aveva fatto la multa (anche la vigilessa ha smentito – non la multa ma le parole di stizza) e la signora Renzi si è dovuta sorbire i commenti dei fiorentini amanti dei colori neutri e dunque non del tutto conquistati dal suo abito giallo lungo e asimmetrico di Ermanno Scervino, indossato per la prima del Maggio musicale (la si vede spesso anche da Pitti Bimbo, in compagnia della figlia minore Ester, con gli stilisti che chiedono a entrambe di sfilare per la prossima collezione). Due persone “normali”, dicono i cronisti locali al forestiero che chieda informazioni sulle consorti dei duellanti del Pd; due donne “determinate”, dicono i rispettivi staff dei duellanti alle primarie. Sia come sia, la sfida dei mariti le butterà fuori dal loro tran-tran.
La principessa Sissi ha seguito il suo principe in città, scendendo dai monti del Tirolo con gli occhi sgranati e poca voglia di sottostare ai diktat della suocera, ma Daniela Bersani, che della principessa Sissi è sempre stata adoratrice, non ha fatto la stessa cosa, e anzi ha smentito il suo stesso proposito: voglio andare a Roma, la vita è una sola e io voglio che la mia sia più normale, accanto a mio marito, aveva detto nel 2009, “tanto le nostre figlie Elisa e Margherita ormai sono grandi e saranno contente di stare un po’ senza la mamma”. Ma poi Daniela Ferrari non ha mai davvero lasciato Piacenza e la provincia come luogo dell’anima: la farmacia dove ha lavorato per trent’anni, i colli, il fiume, il supermercato dove suo marito torna marito semplice (“Pier Luigi perde tempo tra gli scaffali e tende a comprare cose inutili, come tutti gli uomini”, dice un’amica di famiglia). E’ stato tra i colli e il fiume, a Bettola, su una corriera, che Daniela, figlia di un funzionario di banca, incontrò Pier Luigi, figlio del benzinaio con la passione per la filosofia. Sempre la stessa corriera, sempre la stessa via, un tempo percorsa dai mercanti di grano. Lui, Pier Luigi, non sapeva come fare ad attaccare bottone, ma pensava che quel fiume gli avrebbe portato fortuna anche oltre l’infanzia: senza fiume essere bambini non ha senso, ha detto un giorno Bersani, non prima di aver chiesto a Daniela se per caso non avesse “da accendere”, la scusa più facile per avvicinarsi alla più bella del bus, come raccontò un giorno il segretario del Pd. Daniela ascoltava i Beatles, Pier Luigi non ancora il Vasco Rossi poi canticchiato tra sé e sé (“voglio trovare un senso a questa sera / anche se questa sera un senso non ce l’ha / voglio trovare un senso a questa vita / anche se questa vita un senso non ce l’ha…”). A entrambi piaceva Fabrizio De André, anche se Daniela, dice chi la conosce, ha “una vena rockettara inesplorata”. Secondo Vanity Fair la signora è infatti fan dei Led Zeppelin, e insomma il sincretismo musicale della farmacista più famosa di Piacenza è inversamente proporzionale alla sua fede incrollabile nel partito ex-post-neo comunista (in tutte le sue evoluzioni, dagli anni Ottanta a oggi).
Più o meno negli anni in cui i Bersani mettevano su famiglia (“lei era bella, lui sembrava Cary Grant”, dice un’entusiasta conoscente piacentina), altri colli (quelli attorno a Firenze) facevano da sfondo all’infanzia scout dell’altra futura coppia: Agnese Landini e Matteo Renzi erano ancora bambini, non si conoscevano, frequentavano le zone di Rignano e Pontassieve, ma già avevano qualche esperienza di bivacchi, tende, fornelletti e musica da falò. Qualche anno più tardi, adolescenti, fecero amicizia (lui ha sempre detto “colpo di fulmine”, gli amici hanno sempre detto “non ha fatto breccia subito”). All’inizio, comunque, furono solo raduni dell’Agesci e ritiri spirituali, e per fortuna poi venne la settimana bianca a Madonna di Campiglio, dove, tanto per cambiare, ricorda Io donna, Renzi non fece immediatamente colpo sulla futura sposa. Già appassionata di letteratura, futura professoressa di Lettere precaria (al momento in un istituto internazionale), Agnese, pur interessata, non aveva ancora sciolto la riserva su quel ragazzotto che partecipava alla “Ruota della fortuna”. Il definitivo gesto galeotto, dice la leggenda, fu la decisione di Matteo di scommettere, davanti a Mike Bongiorno, sulla “A” di Agnese (vincendo). Da lì la strada del corteggiamento fu in discesa, fino al matrimonio. Era il 1999 e i due sposini ascoltavano Lucio Dalla. “Anna e Marco” è la loro canzone, con la luna che in silenzio si avvicina e l’America lontana e la periferia da cui scappare – e però loro non sono scappati, anche se in America ci sono andati davvero, nel 2009, per festeggiare i dieci anni di matrimonio e dimenticare i cellulari tra i grattacieli. “Decisiva nella mia vita è stata la scelta di sposarmi giovane, non credo che mi sarei impegnato così presto in politica senza quel passaggio”, ha detto un giorno Matteo Renzi a Vanity Fair. Agnese aveva ventidue anni, il giorno delle nozze: non insegnava ancora, già faceva molto jogging e già pensava che sarebbe diventata mamma (tre figli) e docente. Non bisogna lamentarsi, dice a chi le ricorda la sua precarietà professionale. Bisogna fare il proprio dovere, dice da moglie per nulla pop del sindaco pop, molto devota e sorella di un sacerdote – poi però vengono i concerti, preferibilmente classici, e Agnese viene avvistata in città con abbigliamento da “sindaca”, dice un cronista mondano che la trova “leggermente overdressed” come quando si aggirava a un evento religioso con un “favoloso cappotto a quattro colletti”.
A vederla immersa nel suo tran-tran piacentino, la signora Bersani non sembra una da viaggio on the road: giacche eleganti da freddi nebbiosi di città, foulard al collo, capelli sempre in ordine. Eppure “quella del coast-to coast”, dice un amico, è la sua passione mai spenta. Le piacciono le strade che non finiscono mai, praticamente vuote. Il pilota automatico con musica in macchina, i “diner” persi nel nulla degli Stati Uniti (dove mangiare hamburger giganti), i campi che scorrono, i paesaggi da Far West che spuntano dopo giorni sonnacchiosi per le pianure. I panorami da “Casa nella prateria”, però, non hanno ispirato a Daniela Bersani la passione per le torte fatte in casa. Se la cava con quelle rustiche da quando era studentessa in Farmacia, ma in generale vade retro: meglio comprare cose mezze pronte al solito supermercato, dove si parcheggia comodamente e senza rischi di vigili in allerta, meglio mettere nel carrello provviste settimanali, e meno male che esiste il forno a microonde. L’ideale di una vita informale a spasso per l’Oregon si scontra con modi da cittadina tout court (sebbene dotata di giardinetto con gatto): la signora Bersani non perde un notiziario e legge con maniacalità la stampa locale, intervenendo se necessario a redarguire i cronisti. Capitò anni fa, quando un giovane giornalista si mise a contare le presenze in Aula dei parlamentari piacentini. Ne risultò che Bersani, impegnato spesso altrove, era meno presente di altri concittadini. In redazione arrivò la telefonata di “Ferrari Daniela”: come si permette, caro cronista, mio marito lavora moltissimo, ha capito, moltissimo, e a nulla servì spiegare che era soltanto una nota statistica, e che nessuno l’aveva messo in dubbio.
Non incline a smancerie con conoscenti e avventori occasionali, Daniela Bersani, a Piacenza, è inseguita invano da chi vorrebbe chiederle informazioni sul Pd, sul marito, sulle figlie, sulle sue intenzioni in caso di vittoria bersaniana e soprattutto in caso di futura vittoria alle politiche. Ci sono anche cittadini che la aspettano al varco, pronti a suscitare il putiferio. Questo ha detto Daniela Ferrari Bersani al Corriere della Sera, raccontando il “qui pro quo” sulla suddetta multa: “E’ stato molto antipatico. Ho avuto la netta sensazione che in quel paese, alla faccia del “lei non sa chi sono io”, mi conoscessero invece fin troppo bene e che qualcuno mi abbia teso un piccolo agguato per montare il caso. Non mi spiego altrimenti il fatto che, non appena presa la multa, attorno alla mia auto si sia formata una piccola folla, con gente che mi sibilava frasi del tipo ‘vergognati’, ‘torna a casa tua’…”. Per evitare titoloni a sorpresa e sgradevoli ricaschi mediatici, dunque, la signora Bersani scansa gentilmente ma severamente tutti, e parla solo quando chiamata in causa come categoria – accadde nel 2006, quando Daniela Ferrari, contrariamente alla maggioranza dei colleghi farmacisti, si ritrovò a dire “sì” alla lenzuolata di liberalizzazione sui farmaci stesa da suo marito, allora ministro dello Sviluppo economico. “Non condivido lo sciopero. Gli altri farmacisti innalzano il loro scudo? Bene, noi innalzeremo la sciabola”, diceva, spiegando che “la gente” avrebbe potuto “trovare sugli scaffali dei supermercati prodotti da banco, parafarmaci, integratori a prezzi più competitivi” e che “all’estero” il sistema era già stato collaudato. Eppure nessuno riuscì a strapparle un’ammissione di ingerenza: “Sia chiaro, non ho mai dato consigli a mio marito. Figuriamoci, già parliamo poco di questioni private”. E c’è chi, nel Pd, racconta che l’anno scorso, quando con l’arrivo di Monti si parlò di nuovo di liberalizzazioni e farmacie, i Bersani, tutti e due, si ritrovarono nuovamente concordi e molto favorevoli alla deregulation, con buona pace dei colleghi storici di Daniela, soprannominata affettuosamente “orgoglio e pregiudizio”, sia per il suo amore smisurato per Jane Austen sia per l’incrollabile fede nella sue posizioni – la signora Renzi, invece, il cui orgoglio consiste nel definirsi “cittadina di Pontassieve”, è chiamata dai fiorentini burloni “ranch”, per via della decisione di restare nell’abitazione di famiglia ai margini della città (per proteggere i figli dai riflettori: non voglio che vengano considerati i “figli del sindaco”, ha detto) e per l’abitudine testarda (sua e soprattutto di suo marito) di andare a cena sempre nella stessa pizzeria dal nome texano dove andavano da sposini. Ma è Agnese che convince Matteo a recarsi due volte l’anno a Milano, a qualche sfilata Armani, magari, anche se poi sia lui sia lei vestono in tandem Scervino, creatore della cosiddetta – dalle dame locali – “nuvola rosa” con cui Agnese si presentò a un’altra prima musicale.
Qualsiasi cosa succeda, dicono gli amici di Matteo Renzi, Matteo Renzi la notte cerca di tornare a dormire a casa, anche fossero le quattro di notte (tanto la mattina dopo si addormenta appena risale in macchina, sulla tangenziale) per fare colazione con Agnese e con i figli – non è un’imposizione della consorte, convinta che il sacrificio da primarie sia “per il bene di tutta la famiglia”, più che altro è un diktat che Renzi si autoimpone guardando l’esempio della moglie, molto presente con i bambini e molto convinta della necessità di mantenere con i figli un rapporto di qualità, se non di quantità (e si commuove, Agnese, dal retropalco, quando suo marito le dedica “la battaglia”, come a Verona, alla partenza del camper renziano).
“Agne” e “Matte”, come li chiamano gli amici ex scout, credono molto a un matrimonio basato sulle parole di Franco Battiato in “E ti vengo a cercare”: “E ti vengo a cercare/ anche solo per vederti o parlare / perché ho bisogno della tua presenza / per capire meglio la mia essenza / e ti vengo a cercare / con la scusa di doverti parlare / perché mi piace ciò che pensi e dici / perché in te vedo le mie radici”. Pensano che il cuore sia “razionale”, e che il marito e la moglie si scelgano giorno per giorno. In giro per Firenze, tra gli amici storici della coppia, gira un cd con le loro canzoni (oltre a Jovanotti c’è anche un incredibile Angelo Branduardi, mantra buono per le primarie: “Si può fare / si può fare / si può prendere o lasciare / puoi correre o volare…”). Agnese, comunque, con un maglione scuro che contraddiceva l’abbigliamento colorato delle occasioni ufficiali (per esempio quando è arrivato a Firenze Alberto di Monaco con Charlene, e lei si faceva fotografare in bianco con inserti in pizzo), è stata vista nello studio milanese della serata “X factor” delle primarie, con i candidati in piedi davanti al leggio negli studi di Sky. Non ha detto nulla, come al solito, forse le è uscita una lacrima, come al solito, forse ha deciso una volta di più di non comparire, ché la sua linea è sempre quella: “Ora è il tempo di Matteo”.
Nel frattempo i colli piacentini continuano a essere percorsi da macchine in incognito guidate da curiosi che cercano di capire come la signora Daniela Ferrari Bersani si prepari al suo futuro. Dice una signora che abita in zona: “La gente cerca di intuire, dai suoi acquisti, da quello che fa, da quanto affettato compra, quanto salame e quanto prosciutto, quali siano le sue intenzioni. Qualcuno pensa di portarsi avanti col programma, intensificando i contatti in caso diventi first lady. Qualcuno fa la sibilla cumana, cercando di indovinarne i pensieri. Ma io non sono sicura che Daniela, piacentina nel midollo com’è, si decida infine a traslocare a Roma”.
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