Perché la Lagarde ha disdetto i suoi impegni per discutere oggi di Atene e cosa c'entra la rielezione di Obama

Domenico Lombardi

Oggi sapremo se la crescente distanza politica che da mesi separa il Fondo monetario internazionale (Fmi) dai suoi azionisti europei di riferimento può essere parzialmente ricomposta. La necessità di pervenire a un accordo comune sulle prospettive della Grecia, all'ordine del giorno nella riunione dell'Eurogruppo di oggi a Bruxelles, deriva dalla natura “congiunta” del programma di assistenza in Grecia. Ne consegue, pertanto, che il veto anche di uno solo dei creditori, come il Fmi, rende impossibile il disborso delle tranche previste dal medesimo programma.

    Oggi sapremo se la crescente distanza politica che da mesi separa il Fondo monetario internazionale (Fmi) dai suoi azionisti europei di riferimento può essere parzialmente ricomposta. La necessità di pervenire a un accordo comune sulle prospettive della Grecia, all'ordine del giorno nella riunione dell'Eurogruppo di oggi a Bruxelles, deriva dalla natura “congiunta” del programma di assistenza in Grecia. Ne consegue, pertanto, che il veto anche di uno solo dei creditori, come il Fmi, rende impossibile il disborso delle tranche previste dal medesimo programma. Christine Lagarde, direttore generale del Fmi, ha annullato a sorpresa la partecipazione al summit dell'Asean, l'Associazione dei paesi del sud-est asiatico, per rientrare in Europa e partecipare di persona alla riunione. Già da tempo si registrano tensioni in seno alla Troika – Commissione Ue, Banca centrale europea, Fmi – il cui rapporto non è stato ancora finalizzato dalla scorsa estate, onde evitare di rendere pubbliche posizioni sinora inconciliabili.

    L'apparente motivo di frizione è la sostenibilità del debito pubblico greco che il Fmi ritiene debba attestarsi su valori prossimi al 120 per cento del prodotto interno lordo (pil) entro il 2020, come concordato in precedenza, richiedendo che per il raggiungimento dell'obiettivo debbano essere mobilitate ulteriori risorse, se necessario. Gli europei vorrebbero, invece, che l'applicazione di questa soglia venisse rinviata di qualche anno e magari innalzata di qualche punto percentuale. Se così fosse, si circoscriverebbe la necessità di interventi radicali sul debito pregresso. In questo scenario, una riduzione del tasso di interesse insieme a interventi relativamente marginali e, quindi, politicamente accettabili per i paesi creditori, consentirebbero come minimo di rinviare l'anatema di una drastica ristrutturazione del debito. Attualmente, tale debito è detenuto in buona parte da creditori ufficiali europei, incluso l'Efsf (il vecchio Fondo salva stati), la Banca centrale europea e alcune banche centrali nazionali. Per l'Efsf, l'eventualità di una cancellazione dei crediti vantati verso la Grecia richiederebbe l'attivazione di una procedura parlamentare per la quota di competenza tedesca: tabù prima delle elezioni politiche previste in Germania per il prossimo settembre e, probabilmente, anche dopo.

    Quel retropensiero su Spagna e Italia
    Ma anche questo non spiega per intero perché la distanza, prima di tutto analitica, che separa le valutazioni macroeconomiche dei creditori europei da quelle più indipendenti del Fmi sia evoluta in una distanza squisitamente politica come mai si era osservato dall'inizio della crisi dell'Eurozona. Vi sono in realtà due ragioni – una interna, l'altra esterna all'istituzione – che danno conto della recente dinamica di tensione. Il Fmi sta marcando il suo territorio delimitando il perimetro della propria indipendenza con inusuale fermezza perché ha compreso bene che l'esito di questi negoziati delineerà i rapporti di forza in seno alla Troika quando la Spagna e, forse, l'Italia, richiederanno l'intervento della Bce nell'ambito del suo nuovo programma Omt (Outright Monetary Transactions). In cambio di acquisti, potenzialmente illimitati, di titoli di stato che la Bce si impegnerà a effettuare, vi sarà l'impegno simmetrico del paese richiedente su un programma di riforme che proprio il Fmi formulerebbe e di cui sarebbe chiamato a valutare, in itinere, lo stato di attuazione. Pertanto, una valutazione negativa da parte del Fmi rispetto al paese in questione indurrebbe la Bce a sospendere con effetto immediato il suo programma di interventi con conseguenze facilmente immaginabili per la stabilità del mercato obbligazionario, non solo del paese in questione, ma dell'intera Eurozona. Data la posta in gioco, non va esclusa la tentazione, all'ultimo momento, di piegare la valutazione dell'arbitro e renderla più confacente alle preferenze di questo o di quel governo dell'Eurozona. Se il Fmi oggi assecondasse i suoi azionisti europei sulla Grecia, che cosa potrebbe accadere nel futuro prossimo quando la posta in gioco diventasse assai più alta, toccando, per il tramite della Spagna (o dell'Italia), il cuore dell'Eurozona e dei suoi destini?

    Le pressioni su Berlino destinate a crescere
    La posizione più assertiva del Fmi rispetto ai suoi azionisti europei più autorevoli, per essere credibile, richiede un'iniezione di capitale politico che sta arrivando dalla rielezione di Barack Obama alla Casa Bianca. A Pennsylvania Avenue, l'obiettivo del presidente, fresco di un nuovo mandato elettorale, è di forzare gli europei a prendere atto della situazione fallimentare in Grecia e reindirizzare le energie, e le risorse, verso una strategia di più ampio respiro che forzi un cambio di rotta rispetto alla persistente contrazione dell'economia ellenica. Anche se è probabile a breve un accordo per l'erogazione della prossima tranche di 31,5 miliardi di euro, alcune fonti ad Atene colgono segnali in codice che il Fmi starebbe inviando per incoraggiare le autorità greche a rifiutare la tranche con l'obiettivo di forzare, subito, un confronto risolutivo con i creditori europei sul destino del paese.