Se Gerusalemme non vince le guerre
Tre guerre “non vinte” non sono tre sconfitte, ma pesano su un paese assediato come Israele. Pesano su tutte le forze politiche israeliane, che le hanno di volta in volta gestite. Nelle ore in cui si decide se la guerra deflagrerà, o sarà congelata sul nascere, il bilancio delle due guerre precedenti proietta un’ombra inquietante sul futuro. Israele “non vinse” la guerra del Libano scoppiata il 12 luglio 2006 e chiusa con l’accettazione della risoluzione dell’Onu 1.701. Il governo di Gerusalemme accettò, per la prima volta, che la sicurezza a ridosso dei suoi confini fosse garantita da una forza internazionale.
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Roma. Tre guerre “non vinte” non sono tre sconfitte, ma pesano su un paese assediato come Israele. Pesano su tutte le forze politiche israeliane, che le hanno di volta in volta gestite. Nelle ore in cui si decide se la guerra deflagrerà, o sarà congelata sul nascere, il bilancio delle due guerre precedenti proietta un’ombra inquietante sul futuro. Israele “non vinse” la guerra del Libano scoppiata il 12 luglio 2006 e chiusa con l’accettazione della risoluzione dell’Onu 1.701. Il governo di Gerusalemme accettò, per la prima volta, che la sicurezza a ridosso dei suoi confini fosse garantita da una forza internazionale. Fu una scelta obbligata dal momento che l’Idf non riuscì a schiantare la forza militare di Hezbollah. Il bilancio non è positivo per Israele nemmeno per quel che riguarda l’operazione Piombo Fuso del 2008: dopo tre anni, il Jihad islamico e Hamas hanno ricostruito gli arsenali e ora minacciano addirittura Gerusalemme e Tel Aviv. Lo stesso esito è prevedibile per l’operazione Pilastro di Difesa in corso, sia che prosegua sia che si arrivi a una tregua.
Israele è in grado di fiaccare le aggressioni di Hamas a Gaza e di Hezbollah in Libano soltanto per un arco di tempo limitato, ma la loro minaccia alla sicurezza di Israele è, allo stato attuale, ineliminabile. La responsabilità prima di questo scenario è della comunità internazionale che nulla ha fatto per imporre il disarmo di Hezbollah (è il fallimento di Unifil), come nulla ha fatto per imporre a Hamas la cessazione del lancio dei razzi su Israele (dodicimila dal 2006!). Il sigillo di questa responsabilità è stato messo dallo stesso presidente americano, Barack Obama, che ha ammesso il fallimento del suo piano di pace tra Israele e l’Autorità nazionale palestinese che, verboso e confuso quale era, altra sorte non poteva avere.
Israele non ha responsabilità di questo quadro intollerabile, perché chi minaccia lo stato ebraico non persegue affatto l’obiettivo strategico della nascita di uno stato palestinese – passibile di trattativa – ma l’“eliminazione dell’entità sionista”, come Hezbollah, Hamas e il filoiraniano Jihad islamico dichiarano senza equivoci. Israele ha un’unica responsabilità: col governo di Benjamin Netanyahu ha aumentato il suo isolamento internazionale, in primis a causa del veto del ministro degli Esteri, Avigdor Lieberman, a chiudere la vicenda della Mavi Marmara con la Turchia (nel blitz delle forze israeliane sulla nave che voleva violare l’embargo di Gaza morirono nove persone), ex fondamentale alleato in campo islamico, come pure era stato concordato tra i due governi.
La cronicità irrisolvibile delle minacce a Israele non è più tollerabile, nemmeno da un occidente ignavo. Un domani prossimo essa diventerà incontenibile e mortale con l’acquisizione da parte dell’Iran della bomba atomica, sotto il cui ombrello – anche se non venisse lanciata – l’aggressività militare di Hamas e di Hezbollah si moltiplicherà per mille. Questo è lo scenario immanente. Questa la questione di cui America ed Europa devono prendere atto: l’impossibilità per Israele di disarmare in modo risolutivo Hamas e Hezbollah – purtroppo verificata nei fatti – si replicherà anche dopo un suo eventuale “strike” contro i siti nucleari dell’Iran? Basteranno le pressioni di Stati Uniti e Unione europea sul presidente egiziano Mohammed Morsi – che pure, a oggi, nonostante l’aggressività verbale, si comporta in modo equilibrato – per garantire nei fatti, non a parole, quella sicurezza di Israele che le sue Forze armate non riescono a perseguire? Non basteranno, è ovvio. Israele è in pericolo. Come sempre, più di sempre. Se l’occidente non ne prende atto, si arriverà al dramma.
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