Il tempo perso della Cgil
La produttività frenata rappresenta uno dei principali fattori strutturali della debolezza economica dell’Italia. Tra i fattori paralizzanti spicca un sistema contrattuale e retributivo che non premia la crescita di produzione, il che ha indotto il governo a uno stanziamento di circa 2 miliardi (in tempi di vacche magrissime non sono pochi) a vantaggio del salario legato alla produttività: quindi contrattato a livello aziendale e territoriale e slegato dai contratti nazionali di lavoro.
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La produttività frenata rappresenta uno dei principali fattori strutturali della debolezza economica dell’Italia. Tra i fattori paralizzanti spicca un sistema contrattuale e retributivo che non premia la crescita di produzione, il che ha indotto il governo a uno stanziamento di circa 2 miliardi (in tempi di vacche magrissime non sono pochi) a vantaggio del salario legato alla produttività: quindi contrattato a livello aziendale e territoriale e slegato dai contratti nazionali di lavoro. Alle parti sociali era stato chiesto di redigere un avviso comune, in base al quale l’esecutivo avrebbe attivato le risorse. Ma l’intesa è stata assai travagliata, ha tardato quasi due mesi (molti, in tempi di vacche magrissime) rispetto alla data inizialmente fissata, e ieri è approdata al confronto con il governo con l’accordo di tutte le rappresentanze, esclusa la Cgil. In realtà anche nella confederazione di Corso d’Italia le posizioni sono piuttosto variegate. E’ nettissima quella della Fiom, il cui segretario Maurizio Landini sostiene che in una fase di crisi “il salario di produttività non è una priorità” e che considera l’intera operazione un passo decisivo verso la concezione del sistema contrattuale praticata dalla Fiat dell’odiato Sergio Marchionne. Altri sindacati industriali della Cgil, dai chimici agli edili ai tessili, hanno stipulato invece contratti aziendali e hanno accettato deroghe a quelli nazionali per favorire il salario di produttività: nei fatti, non sono distanti dalla linea prospettata nell’accordo. Susanna Camusso probabilmente si rende conto che un grande sindacato non può emarginarsi dalla contrattazione reale, il che lo trasforma in un raccoglitore di proteste ma riduce progressivamente la sua capacità di tutela degli interessi dei lavoratori.
Continuando ad aprire e chiudere spazi nel corso del negoziato, la Cgil è riuscita a guadagnare (cioè a far perdere) tempo. In una prima fase aveva ottenuto da Confindustria una proposta assai debole sulla promozione delle deroghe contrattuali, ma la rivolta delle associazioni dell’impresa minore ha poi costretto Confindustria a una scelta un po’ più coraggiosa, ora accolta da Cisl, Uil e Ugl. Così la Cgil è tornata in una condizione di sostanziale isolamento e anche dopo la stipula dell’intesa tra tutte le altre rappresentanze insiste nella richiesta di riaprire il negoziato. In questo spalleggiata dal tatticismo del responsabile del Partito democratico per il lavoro, l’ex ministro Cesare Damiano, che invita il governo ad attendere l’assenso della Cgil. Ma questo in pratica equivale a bloccare tutta l’operazione, che invece Mario Monti ha confermato di voler chiudere al più presto.
L’elemento più rilevante dell’intesa, che ricalca l’impostazione data dal governo attuale e dal decreto precedente di Maurizio Sacconi, consiste in una consistente riduzione del carico fiscale sugli aumenti retributivi legati alla produttività. E’ facile immaginare che i lavoratori che su 100 euro di aumento aziendale se ne vedono sottrarre solo 10 dal fisco, mentre su quelli contrattuali pagano l’aliquota marginale, che gliene toglierebbe mediamente 25, premeranno per incrementare la quota di salario aziendale. E’ una via per arrivare gradualmente a un sistema contrattuale meno centralizzato. I sindacalisti della Cgil sanno benissimo che sarà difficile contrastare questa tendenza contrapponendo ai vantaggi salariali reali anche se modesti qualche discorso ideologico sulla solidarietà di classe e l’egualitarismo a parole garantito dai contratti nazionali.
Da versanti opposti si critica la timidezza delle innovazioni previste. Nel complesso, però, l’intesa, fornisce una prima risposta all’esigenza principale del comparto produttivo, quella di prepararsi ad agganciare ogni pur flebile sintomo di ripresa della domanda. Naturalmente la produttività non aumenta per decreto, ma questo non toglie che l’intesa rappresenta un passaggio rilevante verso un sistema contrattuale meno paralizzante. Ed è proprio su questo che la Cgil cerca di frenare. Rallentando però anche un impiego per una volta saggio delle risorse pubbliche.
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