Niente prigionieri
Che destino avrà Renzi se perde?
Quale sarà il destino di Matteo Renzi e della liquida Leopolda se, a conferma dei sondaggi del professor D’Alimonte, alla fine vincesse Pier Luigi Bersani? A due giorni dalle primarie, gli osservatori hanno spostato le lenti sull’ipotesi che il sindaco di Firenze possa perdere. L’ipotetica sconfitta è diventata ieri anche il tema di un fuorionda radiofonico dell’interessato, con gli imbarazzi del caso: “Se non vado in Parlamento ci porterò un po’ di amici miei, ma non mi faccio comprare, non voglio diventare come loro”.
Roma. Quale sarà il destino di Matteo Renzi e della liquida Leopolda se, a conferma dei sondaggi del professor D’Alimonte, alla fine vincesse Pier Luigi Bersani? A due giorni dalle primarie, gli osservatori hanno spostato le lenti sull’ipotesi che il sindaco di Firenze possa perdere. L’ipotetica sconfitta è diventata ieri anche il tema di un fuorionda radiofonico dell’interessato, con gli imbarazzi del caso: “Se non vado in Parlamento ci porterò un po’ di amici miei, ma non mi faccio comprare, non voglio diventare come loro”. Quanto basta per far prendere ulteriormente quota alla questione cruciale: i bersaniani eventualmente vincitori faranno prigionieri? Quale spazio avranno nel partito i renziani battuti? “Non confondiamo il burro con la ferrovia”, ha risposto qualche giorno fa Bersani a “Otto e mezzo”. “Queste sono primarie aperte che servono a scegliere il candidato premier. L’anno prossimo ci sarà il congresso del Pd. Chi vuole conquistare il partito lo faccia, si conti lì”. Non una dichiarazione rassicurante anche perché accompagnata da una precisazione: “Non faccio bilancini per includere, non li faccio per escludere”. Nessuno spiraglio neppure per il coinvolgimento dei rottamatori nella messa a punto della squadra di governo: “Se perdo mi faccio da parte, ma se sono io (il premier) decido io”.
Renzi, per la verità, ha già messo le mani avanti, chiarendo che in caso di sconfitta resterebbe sindaco di Firenze, darebbe una mano ai vincitori. Niente traslochi nelle file moderate di Montezemolo. Più indefinita, e però sostanziale, la questione delle questioni, le liste elettorali. Significativamente il bersaniano Andrea Orlando ricorda al Foglio che queste primarie “non sono come quelle di Veltroni, non eleggono l’assemblea nazionale, non toccano la composizione del partito” dunque dal punto di vista degli apparati consegnano poco a un Renzi sconfitto. Il gioco delle liste escluderebbe il sindaco. “Bersani” è l’idea dei suoi “avrebbe tutto l’interesse a costituire gruppi parlamentari fedeli e omogenei, diversi da quelli eletti con Veltroni nel 2008”.
Ma il consenso raccolto da Renzi alle primarie ovviamente avrebbe un peso. Il modello potrebbe essere Romano Prodi, è la tesi di Orlando: “Portò un piccolo gruppo di fedelissimi in Parlamento, ma non fece una corrente”. “Se perdiamo questi ci asfaltano”, riassumono i renziani. Gli emiliani Roberto Reggi e Matteo Richetti sono i più preoccupati. L’ipotesi asfalto deve aver preoccupato il direttore di Europa, Stefano Menichini, che ieri esortava Bersani a far tesoro della mobilitazione delle primarie e a non seguire i consigli del fondatore di Quaderni Rossi, Mario Tronti, pubblicati dall’Unità a fine ottobre: vincere al primo turno per poter cacciare Renzi. “Non va concessa al rottamatore la tribuna del ballottaggio. Anche se battuto marcherebbe, per il dopo, una presenza che il suo messaggio non merita”. Rosy Bindi scavalca Tronti a sinistra, teorizzando che nel Pd ci sarebbe poco spazio per Renzi perfino se vincesse: “Bersani resterebbe segretario, io presidente e lui non farebbe le liste”, ha pubblicamente dichiarato. Raccontano che un suo fedelissimo abbia ricevuto da Arturo Parisi, fresco di endorsement a Renzi, un sms che commentava così: “Mai proposizione fu più esatta, illusoria, volgare”.
I renziani puntano sui circa dieci punti in più alle politiche che avrebbe un Pd guidato da Renzi. “E’ dovuto alla sfida lanciata al vecchio gruppo dirigente”, dicono, “dunque i bersaniani dovranno fare spazio a chi con Renzi si è schierato”. Ci saranno parlamentari renziani, scommette Paolo Gentiloni che teorizza come negli studi di “X factor” si sia materializzato un “Pd extralarge”, da Tabacci a Vendola. Il paradosso, agrodolce per i veltroniani, di Bersani che realizza la vocazione maggioritaria. “Del maglioncino rosso potrebbe risentire la capacità di attrazione elettorale”, scriveva su Europa. “Quindi comunque vada il voto delle primarie, Bersani-Renzi dovranno essere un ticket di fatto anche se sceglieranno ruoli e incarichi diversi”. Conteranno i numeri della sconfitta. Una cosa è mandare Bersani al ballottaggio, una cosa perdere al primo turno, come sogna Tronti. “Anche se ci fossero venti punti di differenza con Bersani quello di Renzi sarebbe un risultato eccezionale rispetto ai precedenti sconfitti alle primarie e per il modo in cui l’ha ottenuto”, osserva Parisi. E includere Renzi potrebbe voler dire ridimensionare gli altri leader delle correnti. Lo conferma la cautela di un bersaniano di solito affilato come Matteo Orfini: “Lasciamo stare la conflittualità elettorale”, ci dice, “dal giorno dopo sarà come la Clinton con Obama”.
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