Intervento occidentale in Siria

Ecco come sarà l'azione diretta della Nato contro i bombardieri di Assad

Daniele Raineri

La Nato può imporre una “no fly zone” contro gli aerei e gli elicotteri del presidente siriano Bashar el Assad grazie all’impiego creativo delle batterie di missili Patriot che saranno schierate lungo il confine tra Siria e Turchia. L’ipotesi è ancora prematura, ma potrebbe essere il primo intervento diretto e internazionale contro il governo di Damasco, dopo venti mesi di guerra civile e oltre 40 mila morti.

    La Nato può imporre una “no fly zone” contro gli aerei e gli elicotteri del presidente siriano Bashar el Assad grazie all’impiego creativo delle batterie di missili Patriot che saranno schierate lungo il confine tra Siria e Turchia. L’ipotesi è ancora prematura, ma potrebbe essere il primo intervento diretto e internazionale contro il governo di Damasco, dopo venti mesi di guerra civile e oltre 40 mila morti.

    Come funziona? I missili Patriot sono un’arma prettamente difensiva e lavorano più o meno come il tanto celebrato Iron Dome che in questi giorni ha bloccato la gragnuola di ordigni lanciati contro Israele: un radar vede il missile in volo e guida un contromissile – il Patriot – a intercettare il primo mentre è ancora in aria. Il risultato è uno scoppio in cielo, uno sbuffo di fumo e niente più – in teoria, perché in realtà il sistema Patriot è molto meno preciso di Iron Dome. L’idea è di usarli invece come arma offensiva: guidati dagli aerei spia americani, come gli E-3 Awacs, gli Rc-135 Rivet Joint e gli E-8 Jstars, “occhi e orecchie in volo”, i Patriot possono intercettare gli aerei e gli elicotteri di Assad fino a una profondità di 80 chilometri dentro la Siria. Questa fascia protetta corrisponde più o meno al territorio che è già in mano ai ribelli siriani e che però è esposto agli attacchi quotidiani dal cielo – e coprirebbe anche Aleppo, dove uno stallo sanguinoso tra le due parti si trascina ormai da luglio.
    Il governo siriano ricorre ai bombardamenti dall’alto perché sta perdendo il controllo a terra, lo fa con intensità brutale – trenta attacchi ogni giorno, con picchi di sessanta come il 29 ottobre – e si accanisce contro i civili: ci sono tredici casi confermati di bombardamenti contro forni mentre distribuivano pane e le file di gente in attesa che si erano formate attorno.

    Questo possibile uso innovativo dei Patriot è spiegato bene in un articolo per il Washington Institute for Near East Policy da Jeffrey White e Eddie Boxx, due esperti provenienti dall’aviazione e dall’intelligence militare americana. L’imposizione di una vera “no fly zone” sulla Siria assomiglia a un incubo per i paesi occidentali, che infatti fino a oggi si sono guardati bene dal ripetere contro Damasco un intervento a protezione dei civili e dei ribelli sul modello di quello già sperimentato con successo in Libia. La “no fly zone” equivale a un atto di guerra, perché prevede come primo passo la neutralizzazione dei sistemi difensivi del nemico, e quindi il bombardamento preparatorio dei radar, delle piste e della contraerea nemica, e in seguito la possibilità di duelli aerei (soggetto possibile per l’incubo: un pilota abbattuto e catturato, e poi mostrato dalla tv di stato siriana). Inoltre l’intervento diretto minaccia di provocare una reazione a catena con i paesi che sostengono Assad, come l’Iran e la Russia. L’espediente Patriot invece è meno invasivo: le batterie rimangono al di qua del confine e tutta l’operazione potrebbe scattare in risposta a una scaramuccia di routine come spesso accade sulla frontiera, attraversata quasi ogni giorno da colpi di mortaio e di artiglieria in entrambe le direzioni. La Turchia potrebbe invocare l’articolo 5 del Trattato atlantico, che impone ai paesi Nato di intervenire a difesa di un membro.

    Damasco e Mosca capiscono il trucco
    Uno scenario prematuro? La settimana prossima arriva in Turchia il segretario generale della Nato, Anders Fogh Rasmussen, per preparare lo schieramento delle batterie, che avverrebbe (non è ancora sicuro al 100 per cento) tra meno di un mese, a metà dicembre. La Siria e il suo padrino in politica internazionale, la Russia, vedono benissimo il pericolo in arrivo e capiscono che i missili non avranno il compito di intercettare qualche colpo errabondo di mortaio. Il ministro degli Esteri di Damasco ieri ha detto che si tratta di “un nuovo atto di provocazione” e che “Erdogan è responsabile della militarizzazione della frontiera tra Siria e Turchia”. Il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, avverte che il dispiegamento dei Patriot potrebbe portare a “un conflitto armato molto grave con il coinvolgimento della Nato”. Sembra ovvio che non credano alla storia dei Patriot difensivi. Intanto a terra i ribelli conquistano base dopo base (e nuove armi) e stanno spingendo le forze del governo indietro verso la capitale Damasco.

    • Daniele Raineri
    • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)