“Graticolando”, la selezione-reality di Grillo che ora dice “not in my name”

Marianna Rizzini

Si chiama “Graticolando” il reality (vero) di Beppe Grillo. Si svolge a Cernusco sul Naviglio, Milano, Auditorium Maggioni, nell'arco di sei serate interminabili (la seconda stasera alle 21). Trattasi di chiamare uno alla volta su un palco i candidati del Movimento cinque stelle, anzi i candidabili tra cui verranno scelti, con voto sul Web, i veri aspiranti eletti, e di esaminarli come fosse il “Grande Fratello” (manca solo la cabina con tenda nel centro commerciale): cinque minuti a testa, in batteria, senza che nessuno possa sentire l'altro (“sennò si influenzano”, dice il consigliere comunale milanese Mattia Calise), tutti convocati in ordine alfabetico.

    Roma. Si chiama “Graticolando” il reality (vero) di Beppe Grillo. Si svolge a Cernusco sul Naviglio, Milano, Auditorium Maggioni, nell’arco di sei serate interminabili (la seconda stasera alle 21). Trattasi di chiamare uno alla volta su un palco i candidati del Movimento cinque stelle, anzi i candidabili tra cui verranno scelti, con voto sul Web, i veri aspiranti eletti, e di esaminarli come fosse il “Grande Fratello” (manca solo la cabina con tenda nel centro commerciale): cinque minuti a testa, in batteria, senza che nessuno possa sentire l’altro (“sennò si influenzano”, dice il consigliere comunale milanese Mattia Calise), tutti convocati in ordine alfabetico, a gruppi di trenta per sera, prima il cognome poi il nome, dopo ore di anticamera in una saletta denominata affettuosamente “acquario”, non prima di aver inviato via Web un video e una scheda di presentazione con foto.

    Nel freddo della sala, con la presentatrice-attivista giovane e sorridente che invita a sedersi sulle scale del palco come si fosse tra amici (o ad “Amici”), i partecipanti si sottopongono a cinque-sei domande tutte uguali e tutte irrimediabilmente simili a quelle che si vedono nei provini dei talent-show: “Che fai nella vita?”, “sei single?” (la conduttrice ci scherza: “Sembriamo un’agenzia matrimoniale”). Poi ci sono i quesiti tecnici, quelli che dovrebbero far capire qualcosa del grado di impegno grillino del candidato, ma che finiscono in un tripudio di risposte ovvie – chi ammetterebbe di non aver mai fatto nulla per la causa? – alle domande “ti definisci un attivista?”, “se non venissi eletto come ti comporteresti?”, “se un eletto di un altro schieramento con punti in comune con l’M5s ti proponesse di firmare una sua mozione urgente, cosa faresti?”. C’è anche la domanda trabocchetto (varia a ogni serata, per evitare che qualcuno ci pensi su): “Che cosa mi dici dell’M5s a Parma?”. Per evitare di scivolare sulle criticate lungaggini di Federico Pizzarotti, tutti i candidati della prima serata glissano. C’è persino uno che, nell’apoteosi di assemblearismo semplicistico, dice: “Mai fare di testa propria”. Gli uomini sono più delle donne, i periti informatici e gli ingegneri abbondano. C’è una disoccupata, un pensionato in sedia a rotelle (autocandidato anche alla presidenza della regione Lombardia), molti padri separati, due commercianti, una designer, un impiegato nella telefonia che ha “il virus del movimento”, un ristoratore che non riesce “a frenare la propulsione” ad attivarsi, un esperto di meccanica che è passato “dalla macrovisione” all’appropriazione dei “concetti” grillini, ma “mantenendo il pilastro”, quale non si sa.

    Grillo non compare, per ora, nel ruolo che fu di Flavio Briatore nel talent-show “The Apprentice” (dove il supermanager diceva “sei fuori!”, e con gran gusto, agli aspiranti businessmen troppo impacciati per il mestiere). E però intanto Grillo lancia dal blog un manifesto sloganistico intitolato “Not in my name”, sunto di tutti i proclami passati e futuri (foto di accompagnamento: due piccoli mammiferi, forse puzzole forse opossum). “Not in my name”, dice l’elenco di frasi a effetto, “i partiti che hanno distrutto l’Italia si ricicleranno come salvatori della Patria”; “not in my name esisterà Equitalia”; “not in my name rimarremo nell’euro senza una consultazione popolare”, non in my name “saranno distrutte le piccole e medie imprese” (però anche: “Not in my name verrà distrutto lo stato sociale”, così da attirare elettori delusi della Lega ma pure del Pd).

    • Marianna Rizzini
    • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.