Monti e i conservatori concertativi

Produttività, riforma da festeggiare ma accolta a baffo moscio

Sergio Soave

E’ stato il governo a forzare, fino a far saltare quella specie di “patto degli scettici” che si era tacitamente stipulato tra Giorgio Squinzi e Susanna Camusso. Un ruolo il governo l’ha senza dubbio esercitato, soprattutto perché la sua natura tecnica ha consentito alla Cisl e alla Uil di sottrarsi all’accusa di berlusconismo che veniva lanciata contro di loro ogni volta che concordavano misure, peraltro assai utili, con Maurizio Sacconi, ministro del Welfare e del Lavoro negli esecutivi di centrodestra.

    E’ stato il governo a forzare, fino a far saltare quella specie di “patto degli scettici” che si era tacitamente stipulato tra Giorgio Squinzi e Susanna Camusso. Un ruolo il governo l’ha senza dubbio esercitato, soprattutto perché la sua natura tecnica ha consentito alla Cisl e alla Uil di sottrarsi all’accusa di berlusconismo che veniva lanciata contro di loro ogni volta che concordavano misure, peraltro assai utili, con Maurizio Sacconi, ministro del Welfare e del Lavoro negli esecutivi di centrodestra. Altro fatto molto rilevante è stato il pronunciamento delle rappresentanze delle aziende minori, e commerciali o artigiane, appoggiate da quella degli istituti di credito. Le aziende minori sono quelle che subiscono più pesantemente la crisi, in relazione alle loro capacità di resistenza finanziaria (e questo spiega l’appoggio che hanno ricevuto dai banchieri). Molte aziende minori hanno chiuso altre rischiano il fallimento e questo le ha indotte, per la prima volta, a fare la voce grossa con Confindustria.
    Nelle aziende minori gli accordi di produttività che consentono di detassare gli aumenti si faranno e si faranno in fretta, perché lì la comunanza di interessi tra imprenditori e lavoratori a migliorare la produzione è quasi ovvia e gli ideologismi del sindacalismo antagonista valgono zero e i mansionari dei contratti nazionali di lavoro non li ha mai guardati nessuno.

    In questo modo il baricentro della contrattazione si sposta verso i luoghi di lavoro e si vedrà se i “concertatori” riusciranno a bloccare questo processo di articolazione nei rinnovi dei contratti nazionali di lavoro. Il partito concertativo conservatore è fallito anche a questo livello, la sua offensiva mediatica contro l’esecutivo tecnico è rimasta sulle pagine dei grandi giornali, che ancora oggi spargono qualche lacrima sull’isolamento della Cgil. Si è trattato e si tratta di una specie di riflesso condizionato autoreferenziale delle nomenclature della rappresentanza, che ha scarsi effetti persino sulla realtà che dipende più direttamente dal loro controllo, quella dei contratti nazionali. Anche a quel livello infatti le cose stanno in modo assai più complicato di quel che pare. Il contratto dei chimici, firmato anche dal sindacato di categoria della Cgil, è già in linea, di fatto con le possibilità aperte dal nuovo accordo. La confederazione, spinta dai metalmeccanici, l’aveva sconfessato a parole, ma in realtà è pienamente operativo.
    Naturalmente persiste il rischio di un muro di gomma che punti a rendere meno efficaci le trasformazioni contrattuali, a mantenere le funzioni autoreferenziali delle burocrazie confindustriali, in attesa che un miglioramento della situazione economica e l’uscita di scena del governo tecnico riaprano lo spazio per il ritorno al tran tran ordinario. Queste speranze, però, potrebbero risultare illusorie. Il rigore nei conti pubblici dovrà continuare per evitare la punizione dei mercati, il che significa che l’unica strada per evitare un avvitamento recessivo è quella dell’accrescimento della competitività e della produttività, che sono state compresse per vent’anni dalla concertazione conservatrice. D’altra parte la base della cultura della concertazione è la struttura delle relazioni sociali nella grande industria, prevalente su tutto il resto, ma ora questa base è troppo ristretta rispetto alla crescita del terziario e alla vitalità di settori rilevanti dell’impresa minore. Si rendono conto di questo in primo luogo le banche, perché sanno che i piccoli e medi sono l’ala marciante della produttività da riconquistare. E riconoscono la modificazione degli equilibri produttivi, il che significa che la loro alleanza con i “piccoli” non è un episodio effimero ma ha una base strutturale.

    Anche Confindustria, che dopo l’uscita della Fiat ha come soci maggiori imprese a capitale pubblico, dovrà ragionare sui danni di una politica conservatrice che non punta sulla priorità della produttività, e pare abbia già cominciato a farlo. La Cgil, che è rimasta fuori dal sistema contrattuale, dovrà porsi il problema di rientrarci, che era poi il programma inizialmente enunciato da Susanna Camusso. Per ora è ferma nell’attesa di qualche scossone politico che la avvantaggi, ma intanto vede molti dei suoi sindacati di categoria e delle sue rappresentanze aziendali accodarsi alla linea della Cisl, che viene avvertita come più realistica, per il semplice fatto che lo è. Anche un eventuale governo di sinistra, dovrà agire in continuità con gli impegni interni e internazionali assunti da quello attuale e quello sulla produttività è l’impegno più importante in direzione della crescita.